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VOLUME E INTENSITÀ DI CARICO NELL’ALLENAMENTO DEL PESISTA – Parte 2

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di Alexey Sidorovich Medvedyev (PhD)

traduzione a cura di Ado Gruzza

 


Nella prima parte di questo articolo l’autore ha esposto i principi generali su come ripensare i metodi di formazione allenante al fine di evitare un decadimento del livello prestazionale negli atleti d’elite; in questa seconda parte viene sviluppata un’analisi specifica del Back Squat, del volume di ripetizioni per serie negli esercizi di Strappo e Slancio e le conclusioni proposte dall’autore.

 

BACK SQUAT

E’ necessario sottolineare qualcosa sul back squat. Questo esercizio eseguita nella zona d’intensità 50-80% praticamente non perde la sua efficacia nel corso della pianificazione (AS Medvedyev, 1986) del pesista rispetto ad un lavoro ad intensità più elevate. Inoltre lo squat a ripetizioni relativamente alte (fino a 6 ripetizioni per serie e più) in questa fascia di carico diventa uno stimolo importante per il sistema cardiovascolare, certamente superiore rispetto alle classiche 1 o 2 ripetizioni tipiche dei programmi di forza massimale. Pertanto, questo metodo dovrebbe essere considerato uno dei mezzi efficaci per aumentare il potenziale funzionale dell’organismo, in particolare in assenza di stimolanti chimici.

Lo stesso può essere detto di allenamento con ripetizioni multiple per serie, cioè sviluppato in un volume maggiore rispetto all’utilizzo comune. Per esempio Vassily Alekseev utilizza esercizi combinati (clean + front squat + jerk) praticamente in ogni allenamento nella fase competitiva.

Ripensando sempre ad Alekseev, occorre ricordare il fatto che questo atleta sia stato il detentore del record mondiale del numero di record del mondo. In buona sostanza ha battuto 80 volte il record del mondo. Nessuno ha ancora eguagliato questo risultato incredibile.

Gli esercizi complementari hanno svolto un ruolo estremamente importante nella pianificazione di questo atleta. Il peso delle esercitazione complementari fu di certo superiore (in termini di % del numero totale di alzate) rispetto agli esercizi fondamentali.

Analizziamo la sua pianificazione in 7 gare in cui ha ottenuto i seguenti risultati: rispettivamente 595, 600, 607,5, 612,5, 630, 635 e 640 kg, tutti erano record del mondo. Il numero delle alzate da gara è di 750 mentre 944 alzate per esercizi ausiliari.

Nel 1995 la squadra maschile cinese ha vinto il titolo a squadre ai campionati del mondo per la prima volta nella loro storia. Abbiamo analizzato la formazione i pesisti cinesi nella loro scuola di alta performance sportiva. Scuola da cui è selezionata la squadra nazionale Cinese. L’analisi ha mostrato che gli atleti avanzati hanno effettuato un volume medio di circa 4000 alzate in esercizi fondamentali. Il volume di carico delle alzate al di sotto del 70% sono in media 42% del volume totale. Una cifra estremamente elevata in relazione alle consuetudini del momento. Il volume di carico supplementare (esercizi ausiliari) era pari al volume di carico fondamentale  e il numero delle sedute a seconda della fase di preparazione era compreso tra le  6 e le 15 settimanali.

Questa conformità tra la metodologia Cinese e la tesi portata in questo articolo non deve stupire in quanto, a quanto pare, a partire dal 1990 la scuola di sport cinese si è dotata di dispositivi in grado di  determinare la composizione del tipo di fibre muscolari presenti nell’atleta. Inoltre, i pesisti cinesi periodicamente controllano il livello di emoglobina nel sangue.

Il volume di carico dei più forti pesisti dell’URSS negli anni ’80, compatibilmente con la categoria di peso, passava da un massimo di 2.813 ad un minimo di 2221 sollevamenti per un ciclo di otto settimane. Il carico inferiore al 70% era compreso tra il 35 e 59%, rispettivamente.

 

RIPETIZIONI PER SERIE IN STRAPPO E SLANCIO

Consideriamo il numero delle alzate in relazione al carico: 3-4 ripetizioni per serie utilizzando dal 75 all’80% del personal best, dovrebbero costituire il nucleo fondamentale della formazione atletica nel ciclo annuale. Questo metodo subisce variazione da 1 a 2 ripetizioni con carichi submassimali, tra l’85 e il 100% e 5-6 ripetizioni con un carico medio, tra 60 e il 70% per serie.

Cinque o sei sollevamenti per set sono previsti principalmente per il periodo di transizione e preparazione. Successivamente il volume delle alzate in questa zona d’intensità diminuisce con l’avvicinarsi del periodo di competitivo, si vedano le programmazione pubblicate dal comitato sportivo dell’URSS nel 1983 per tutte le scuole di sport. Un numero elevato di ripetizioni, come abbiamo già detto, migliora il “potenziale funzionale” del corpo. Ciò è particolarmente importante per il pesista con grandi masse muscolari.

Il due volte campione olimpico L. Zhabotinsky, il cui miglior risultato è stato 590 kg (un record mondiale all’epoca) eseguiva il seguente volume negli esercizi di gara nel ciclo di quattro settimane che portano alla gara, o fase di taper:

- da 1 a 2 ripetizioni per sets 40% del volume;

- da 3 a 4 ripetizioni per sets 52%,

- da 5 a 6 ripetizioni per sets solo all’8% del volume.

V. Alekseev, successore di Zhabotinsky al trono dei Supermassimi, ha avuto una distribuzione simile quando raggiunse un risultato di 525 kg: 59, 33 e 8%. Tuttavia, quando ha stabilito il record mondiale con 600 kg, l’accentuazione del carico si era spostato nella zona di 3 o 4 alzate, che è salita al 58% e dalle 5 ripetizioni in su per set portato al 15% del volume totale.

E, infine, quando sollevò 640 kg il volume sulle 5 alzate in su per caricamento è stato il più alto, distribuendo i carichi nelle tre zone rispettivamente a 18, 30, e il 52% del totale. Come potete vedere un ribaltamento praticamente totale della precedente suddivisione.

Per riassumere la nostra analisi sull’allenamento di Alekseev, siamo in grado di accertare con sufficiente certezza che i parametri e la struttura della pianificazione di questo illustre atleta erano tali che gli stessi esercizi (essenzialmente impiegati per un maggior tempo sotto tensione) anche se lontano dal carico massimo, abbiano creato le condizioni per sviluppare tutti i tipi di fibre muscolari contemporaneamente. La forza Massimale è richiesta solo nelle ultime ripetizioni nel caso di sets con intensità moderata, o per mezzo di un accumulo del carico nel tempo.

Questi sono fatti. E i fatti, come si suol dire, sono ciò che conta. Non abbiamo, tuttavia trovato informazioni simili in letteratura con altrettanto simile interpretazione. D’altra parte, le informazioni presentate qui sono lontano dal dare una soluzione al problema.

 

CONCLUSIONI

Per migliorare l’effetto anabolico e per accelerare i processi ristorativi dell’organismo, si deve lavorare in via preferenziale nelle zone di intensità tra il 70 e il 100% del carico massimale. Anche carichi inferiori al <70% hanno un loro spazio determinante così come l’uso sistematico di esercizi complementare e di esercizi combinati diventa via via più importante nella pianificazione dell’atleta.

Inoltre, è necessario rivitalizzare il piano di lavoro annuale tenendo presente che in assenza di  farmaci, una vacanza di più di due settimane dal bilanciere può avere un effetto decisamente negativo sull’allenamento. Molti atleti hanno difficoltà a tornare alle regolari sedute dopo una pausa di un mese, anche in presenza di periodi in cui il riposo è attivo.

La periodizzazione della formazione tiene conto delle regolarità del processo di adeguamento, diventa quindi essenziale variare mezzi, metodi e grandezze di carico, vale a dire, il volume e l’intensità ottimale (AS Medvedyev, 1986).

I concetti fin qui discussi possono essere sviluppati per stimolare al meglio le fibre veloci attraverso una attivazione delle fibre rosse di tipo II, assieme all’evitare indesiderate ricostruzioni morfo funzionali nel corpo del pesista.

Esistono regole generali per strutturare I processi d’allenamento, inclusi una struttura razionale del volume ed intensità applicabili su ogni soggetto. Allo stesso tempo, differenze individuali obbligano a prendere in considerazione analisi più complesse. Il concetto di base è quello di sviluppare ogni atleta al limite del proprio potenziale, attraverso un miglioramento della padronanze tecnica. Come sempre, copiare pari pari il training di qualche ottimo atleta non è mai una buona idea.


IL RI-CICLO RUSSO

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a cura del Dott. Alessandro Ganzini


 

Tutti coloro che s’interessano di Powerlifting o allenamento coi pesi orientato alla forza prima o poi sentiranno parlare del famigerato ciclo russo che vede rappresentato qui in tabella:

 

 

Sui forum e più in generale su internet se ne sente parlare spesso.

Anche il buon Paolo Evangelista ha scritto un articolo a tal proposito nel suo blog, che v’invito a leggere: http://smartlifting.org/2011/07/18/il-ciclo-russo-2-0/.

Questo ciclo presenta una fase d’accumulo di volume molto caratteristica, tutte le sedute prevedono l’utilizzo dell’80%, la minor intensità che da sensazioni simili ad un massimale.

L’80%, uno dei migliori compromessi per aumentare la forza senza friggere il sistema nervoso.

Il fatto d’utilizzare sempre la stessa intensità medio-alta permette di adattare il sistema nervoso in modo molto efficacie.

Nonostante io sia noto per essere impavido e coraggioso devo ammettere che già il 6×4 all’80% della seconda settimana m’incute un certo timore, spostando lo sguardo più in basso si nota un bel 6×5 e m’iniziano a tremare le gambe, poi scendendo ancora si nota il 6×6 all’80%, a questo punto ammetto d’aver paura.

Non prendiamoci in giro, a meno che non sottostimiate il massimale, o siate un vero principiante, o vi suoni particolarmente familiare quella parolina che inizia per “d” e finisce per “oping”… in 4 settimane non è possibile riuscire a fare un 6×6 all’80% e tantomeno un bel 5×5 all’85% nel microciclo successivo (che sarebbe già ben allenante con il 75%).

Stringi stringi… come quasi tutti i cicli d’allenamento reperibili sul web è necessario apportare qualche modifica, a costo di snaturarli, per fare in modo che il programma non ti porti a sbattere la testa contro un muro con i cocci di bottiglia in cima.

Ecco a cos’ho pensato:

 

 

Di seguito ecco qualche commento per spiegare le logiche secondo cui mi sono mosso per stendere questa progressione che è costituita da due fasi, una d’accumulo e una d’intensificazione.

A sinistra c’è la progressione nei vari microcicli delle sedute che si rifanno a quella del ciclo russo originario, mentre a destra c’è la progressione delle sedute di supporto (che sostituiscono l’immutabile 6×2 all’80%).

Il nuovo ciclo dura 9 settimane il che lo rende ottimale per inserirvi al termine un mesociclo agonistico.

Tale mesociclo è costituito da due settimane di taper più la settimana della gara dove i volume e intensità raggiungono i valori minimi.

Nelle due settimane di taper l’intensità è ancora abbastanza alta mentre il volume viene più che dimezzato rispetto a quello di picco e la densità nella serie è bassissima per raggiungere la forma.

Le prime 5 settimane costituiscono il periodo d’accumulo, con volumi sempre crescenti, che si conclude con un microciclo di scarico.

Le 4 settimane successive costituiscono la fase d’intensificazione, che si conclude con il test dei massimali, dove il volume cala costantemente per consentire un aumento dell’intensità e sfruttare il lavoro accumulato.

Nel ciclo russo l’aumento di volume della fase d’accumulo corrisponde ad un notevole aumento della densità, che se da un lato comporta uno stimolo notevole, d’altro canto rischia di comprometterne la “fattibilità” e porta ad un deterioramento tecnico non indifferente.

Per far fronte a questo problema, pur mantenendo invariato il volume rispetto all’idea originaria ho lasciato costante il numero di ripetizioni in ciascuna serie.

In tal modo ho snaturato l’originario programma andando a diminuire di molto il lavoro metabolico che aumentava notevolmente nelle prime quattro settimane, per sopperire al minor volume ho inserito i 6×6 e i 5×5 nella seduta di supporto.

Nel ciclo russo non vi è alcuna fase di scarico, che in un contesto simile è di primaria importanza. Io ne ho inserita una nella quinta settimana, che nella seduta principale prevede lo stesso volume della prima settimana.

La fase d’intensificazione originale prevede un eccessivo calo del volume ed un eccessivo numero di ripetizioni per serie che non consente il controllo tecnico delle alzate, diventa uno spingere alla morte ed oltre.

Per far fronte a questo problema ho diminuito il picco d’intensità del 10% e ho aumentato i volumi assicurandomi di mantenere un buffer adeguato per curare bene la tecnica esecutiva.

Nella fase d’intensificazione anche la seduta di supporto cala di volume. La prima settimana della fase di volume è in realtà ancora molto improntata sul volume e prevede un elevata intensità percepita, facilmente affrontabile venendo dalla settimana di recupero. Nelle due settimane successive l’intensità relativa al massimale aumenta ma l’intensità percepita diminuisce e questo consente d’avere migliori sensazioni proseguendo verso la fine del programma e benefici a livello mentale non trascurabili.

Da notare come le seduta di supporto delle settimane centrali della fase d’intensificazione riflettono la seduta principale e siano maggiormente improntate sul controllo tecnico e sulla qualità.

Per quanto riguarda lo stacco, che viene allenato una sola volta a settimana e non prevede la seduta di supporto (perché è molto stressante e risente positivamente anche del lavoro fatto con lo squat) abbasserei le percentuali viste almeno del 5%.

Qualche ultima parola sui complementari.

Metterei tutti gli esercizi complementari a fine seduta, vi dedicherei proprio la seconda parte dell’allenamento ed eviterei di dedicarvi delle sedute d’allenamento supplementari.

Essendo già molto alti i volumi, direi che un paio d’esercizi complementari da massimo (e sottolineo massimo, 1-2 vanno più che bene) 3-4 serie da 6-12 ripetizioni con recuperi non superior a 1’30”-2’ per ciascun esercizio base bastano e avanzano: ne metterei uno multiarticolare (military press, dip alle parallele, trazioni, good morning…) effettuati a carico costante arrivando vicini al cedimento nell’ultima serie (ma senza raggiungerlo) e poi eventualmente un monoarticolare d’isolamento (bicipiti con manubri, skull crusher…) da un maggior numero di ripetizioni più tirate scalando il peso ad ogni serie. Visto che la componente coordnativa nei monoarticolari è minore, spingiamo di più… dai che vi piace l’idea di fare un po’ di pompaggio e sentirvi grossi!

Per quanto riguarda l’andamento dei volumi nei complementari lo consiglierei opposto rispetto all’andamento dei volumi in squat, panca e stacco. Mi spiego meglio, per sopperire al calo del lavoro metabolico nella fase d’intensificazione mi manterrei su serie da 12 ripetizioni con maggior buffer per non influire negativamente sul raggiungimento della forma, mentre in quella d’accumulo dove il volume è già buono rimarrei sulle 6.

Non mi dilungo ulteriormente per non mettere troppa carne sul fuoco.

IL (RELATIVAMENTE) BREVE ED INFREQUENTE RUSSO: STIAMO SCHERZANDO?

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di Ado Gruzza

Un approccio fantastico alla modalità infrequente, che cambierà il vostro modo di vedere l’allenamento rarefatto.


 

Spesso trattiamo della Russia in queste pagine e devo chiarire per i meno svegli: il punto non è che qui c’è un gruppo di fanatici della restaurazione del soviet supremo e della pianificazione quinquennale! Tutt’altro.

La cosa è molto semplice:

il sistema allenamento (ripetere giova) sviluppato in alcuni paesi dell’est, quelli in cui era più predominante la cultura della pesistica olimpica basata su qualità, esplosività e metodo distribuito, ha dimostrato una superiorità assoluta di risultati e di approccio teorico.
Non c’è nessuna preferenza culturale: in Russia l’allenamento della forza viene dall’atletica pesante, mentre nei paesi occidentali dal bodybuilding e dal fitness.
E questo si sviluppa a volte penosamente anche nella preparazione atletica, nel lavoro per le arti marziali (tantissimo) e nelle metodologie della pesistica.
Ovviamente le cose stanno cambiando e ci sono tantissime nuove scuole molto interessanti anche nei paesi occidentali. Di fatto, però, quella mole di conoscenze figlie delle guerra fredda ha ancora troppe chicche da svelare per non prestarci attenzione, rischiando di sembrare un po’ maniacali.

Approfitto in più della mia passione per lo scartabellare in mezzo al cirillico e col fatto di aver capito come tradurre e dove andare a cercare le cose interessanti. Mi risulta facile estrapolare ancora prodotti molto interessanti. Tanti ne ho nel cassetto che uso nella quotidianità di trainer, altri ancora saranno presentati al livello expert del prossimo corso FIPL. Sessantacinque anni di grande scuola non si spiegano in un attimo.

Parlando di novità: credo che le nuove grandi risorse sulla metodologia vengano oltre che dalla stupefacente Norvegia, in grandissima parte dalla scuola cinese. Però sinceramente al mandarino non ci arrivo, ancora. Di fatto però, tutte i grandi pensatori della pesistica convergono almeno su un punto: lavoro, lavoro, lavoro.

Anche in USA si iniziano a leggere elaborati molto interessanti. Però la strada è ancora lunga e in questa prima fase ancora molto influenzata dal metodo russo. L’ultimo articolo sulla periodizzazione che ho letto su Elitefts, forse il più bell’articolo in materia che abbia letto in quella sede, risulta profondamente ed inevitabilmente influenzato dalle logiche Sheykistiche. Cosa ci vuoi fare? Il mondo dei pesi è andato in quella direzione. Sarebbe forse giusto dare il merito a chi ci è arrivato per tempo.

Non è certo una gara USA vs URSS e non lo è mai stata, che idiozia!

Se è una gara lo è tra una logica “della prima impressione e dell’idea facile” contro una logica “razionale della fisiologia applicata” all’organismo dell’atleta. Per questo l’idea norvegese (che a meno di sconvolgimenti geopolitica non è di cittadinanza russa) ci piace tanto. Ecco perché atleti come Brian Siders. quello che ha detto non puoi sentirti un professionista se ti alleni 4 ore alla settimana, li consideriamo così eccezionali.

Perché c’è un approccio intenso e razionale, privo di semplificazioni e di formulette: perché chi non capisce la complessità degli eventi è sempre destinato a sparare stronzate. Così nella scienza dello sport, così in politica (cosa tipica degli estremismi la semplificazione) così in una azienda o al bar con gli amici.

Sicuramente questa nuova presa di coscienza farà nascere prodotti ancora più avanzati e logiche ancora più vincenti dell’originaria. Basta che chi si adopera abbia nella testa concetti come: METODO, DISCIPLINA, E RIGORE.

 

 

IL METODO

Ora parliamo di questo metodo relativamente Breve, relativamente intenso ed infrequente. Questo metodo, gioco forza, non è il mio ideale assoluto. Se parlo con l’acquolina alla bocca della scuola cinese, non faccio lo stesso per questa tipologia allenante.
Però questo approccio mi ha colpito, e credo che in un ottica di chi si avvicina all’allenamento della forza, o chi chiede nuovi stimoli, possa avere risvolti davvero intriganti. Per di più trovo che sia una importante evoluzione dei metodi brevi mischiando

a) logiche del distribuito;

b) idee del westside;

c) metodo infrequente.

In più è BIR: breve intenso e russo. Volete mettere?

Un’altra premessa d’obbligo: non abbiamo, come AIF, nessunissima polemica col mondo dell’allenamento infrequente. Non si deve confondere le discussioni di un docente con la posizione di un gruppo. L’ultima volta che ho fatto polemica con il mondo dell’allenamento Natural ero ai primi anni dell’università e adesso ne ho trenta tre.

Tra l’altro se prendiamo la cosa alla lettera (Natural UGUALE contro l’uso del doping) avrei la presunzione di sentirmi un esponente di questo movimento, forse anche con qualche onorificenza in più di tanti che hanno sempre la parola Natural in bocca e poi combinano poco o niente.

Prendo atto delle tesi che si dicono, a volte mi diverto leggendo certe posizioni, però difficilmente vedrete schierami e schierarci: troppo diverse sono le mie letture, troppo lontana la mia attenzione rispetto al mondo del fitness. Ora sinceramente mi interessa altro, non credo sia interessante parlare di 3 x 6 o 3 x 8 mancando una serie di considerazioni fondamentali alla base. Né bene né male, solo non mi interessa, e questo ormai da anni.

 

ROGOZHNIKOV

Innanzi tutto il signor Rogozhnikov, uno dei protagonisti del nostro scritto, non allena in IPF. Per chi mi conosce un minimo, questo lo declassa di 100 punti almeno.
In più pur allenando in una federazione dove il doping non solo è ammesso ma pure molto consigliato (quelle che spesso spregiatamente sono chiamate federazioni circo, non senza ragioni tra l’altro) costui parla di overtraining ad ogni passo.
Ecco, dalle premesse non sembra un genio sceso in terra, eppure, alla faccia dei preconcetti mi sono messo in pista ad approfondire un po’ questa metodologia. Chi ama la roba stile Elitefts dovrebbe adorare questo autore.

Kostantin Rogozhnikov, come in tutti i metodi BREVI e INFREQUENTI sulla scia di Mc Robert crede potentemente nell’intensità di carico. Però a differenza di Stuart MCR sviluppa una modulazione dell’intensità che rende lo sforzo percepito estremamente più gestibile.

Diciamo una cosa che ai meno esperti potrebbe apparire paradossale: entro certi livelli, normalmente, nelle federazioni in cui il doping è tollerato e appoggiato la frequenza media settimanale degli atleti è assai più bassa.

In pratica, dove sono molto aiutati chimicamente non è raro vedere solo 3 sedute a settimana. Rarissimo evento nella federazione internazionale ufficiale di powerlifting, cioè l’IPF. Questo a me risulta molto ovvio e molto evidente per diverse ragioni. La prima è che il concetto di overtraining e stress da sovraccarico non è stato molto compreso. Abituarsi ad una buona frequenza di lavoro (con tutti i vantaggi che questa porta) è la cosa più semplice del mondo. Un Natural può allenarsi tutti i giorni, ho molti più dubbi che possa fare serie a cedimento totale anche solo una volta a settimane recuperando e migliorando nel lungo periodo.
La prima volta che usate un Kettlebells vi vengono le vesciche. Se lo usate una volta a settimana per 1 ora vi verranno sempre le vesciche. Se lo usate tutti i giorni per 20 minuti vi verranno i calli e non sentirete più niente. Più o meno, funziona sempre così.

Su questa scia Razhgolnikov è molto preoccupato del recupero e per questo ha ideato un procedimento di questo tipo:

P, L, M, L, P e cioè: pesante, leggero, medio, leggero, pesante.
In pratica nel protocollo di R. le sedute sulla singola alzata sono alternate in questa maniera.

 

 

Prendiamo la panca piana ad esempio:

P. Il ciclo di allenamento inizierà con una seduta P, cioè pesante.

La seduta pesante consiste nel fare 3 serie dalle 5 alle 6 ripetizioni. Il carico deve essere limite, cioè nelle tre serie l’atleta deve tararsi in modo da arrivare ad utilizzare un carico che lo spinga davvero al limite all’ultima serie delle tre. Massimo sei minimo cinque ripetizioni.

L. Dopo cinque o sei giorni è il momento dell’allenamento L, leggero. E qua si vede l’influenza (molto positiva) della scuola russa.
L’allenamento leggero di panca piana sarà composto da tre serie da dieci ripetizioni con il 65 o 70% del miglior carico utilizzato nell’ultima seduta P. Alte ripetizioni per curare tecnica ed esplosività. Cominciamo a ragionare.

M. L’allenamento successivo sarà quello M, medio. L’allenamento medio risente fortemente dell’influenza delle logiche del Westside Barbell. Questo è molto naturale vista la vicinanza di federazione in cui questi atleti gareggiano. Del Westside, Rogozhnikov, prende davvero il meglio: FORZA SPECIALE. Quindi elastici, catene, board, variazione di prese e di angolazione della panca piana. Tutto per le canoniche 6 o 8 serie da 3 ripetizioni con carichi molto gestibili.

L’allenamento successivo sarà, secondo programma un altro allenamento leggero, cui seguirà, dopo tutto questa manfrina, l’altro allenamento P, sempre con 3 serie molto pesanti da 5 o 6 ripetizioni, sempre con carichi prossimi al limite, dove l’atleta proverà a battere, e di brutto, il proprio PR!

Insomma il trainer chiede ai suoi atleti di spingersi al limite e oltre, però seguendo la massima di Vorobyev, che si ricorderà chi è stato al corso istruttori FIPL 2012, sostiene che l’atleta sia facilitato nel completare un allenamento massimale se questo è seguito e preceduto da allenamenti di intensità leggere e medie. L’alternanza dei carchi è un concetto molto, molto sovietico e molto ma molto interessante.

Non male vero? Così pensare ad un lavoro smaccatamente pesante, diventa assai più stimolante.

Complementari?
Secondo scuola westside, Rogozhnikov, fa fare soprattutto lavoro sul gran dorsale (latissimus dorsi) e tricipiti. Quello che è interessante è che il numero di ripetizioni è estremamente elevato. Cosa che credo non essere una brutta idea per i complementari. Tanto lavoro sulle braccia fino a 20 o 25 ripetizioni. Insomma, lavoro duro poi pompaggio. TANTO VOLUME. Per cui questi metodi sono si infrequenti ma relativamente brevi.

Lo squat e lo stacco da terra sono fatti nella stessa seduta, con più o meno le stesse logiche. Tre da sei il giorno pesante, tre da dieci il giorno leggero, e lavoro speciale il giorno medio per lo squat.
Lo stacco da terra è lavorato con meno ripetizione e (forse) forzando un po’ troppo la mano sul lavoro dai blocchi. Perché in questi ambienti molto spesso si perde di vista questione motoria a favore dello sforzo muscolare immanente. Tanto lavoro di Hyperextension per far recuperare i muscoli della bassa schiena e pochissimo lavoro per i quadricipiti, come poco pettorale nell’allenamento della panca piana.

Alla fine il risultato potrebbe essere questo:

 

 

Badate bene che ho trovato versioni ancora più rarefatte. In cui una settimana a 3 sedute e una settimana a due. Buttate giù uno specchietto dilatando ancora di più le sedute.

In questo schema appena reinterpretato da chi vi scrive, notiamo che tra una seduta con carichi limite e l’altra passano non meno di 25 giorni, una all’inzio e una alla fine del mesociclo.
Questa dilatazione dei tempi sembra al mio occhio essere molto razionale, perché il cedimento DAVVERO consuma. L’importante è che tra un training pesante e l’altro esista qualcosa, ci sia allenamento, le fibre vengano stimolate comunque.

 

 

Questo approccio trovo che sia molto molto moderno ed intelligente. Non sarà mai il mio metodo preferito però credo che dia alcuni spunti su cui riflettere:

a) dilatare le sedute di grande stress per il sistema;

b) usare le altissime ripetizioni come rigenerazione;

c) alternare i carichi;

e) superare la pianificazione lineare tipica dei metodi cosiddetti natural.

Ci sono anche tante cose che per me sono un limite come:

a) la distribuzione muscolare dei complementari;

b) eccessiva rarefazione degli stimoli.

Però questo è un metodo INTELLIGENTE e RAZIONALE. Questo mi sembra il vero Brawn 2.0 perché raccoglie in se decenni di esperienze di chi i pesi li ha fatti e li ha pure fatti bene.

Credo che potrebbe essere una spina dorsale per i prossimi training degli appassionati dei metodi infrequenti. Anche un ponte mentale per avvicinarsi a cosa più complesse e più frequenti, che continuo a ritenere più efficaci.

Insomma, di qualunque pasta o qualunque bandiera porti, quando una cosa è intelligente, mi piace.

Buon Natale.

10° TROFEO BERTOLETTI DI PANCA E 3° TROFEO RAW DI POWERLIFTING

LO SQUAT CON LE FASCE

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di Paolo Evangelista – Ingegnere esperto in Biomeccanica applicata ed autore del libro, già bestseller,  “PowerMechanics for Power Lifting”, Sandro Ciccarelli Editore.

Un aspetto interessante delle mie discussioni con Ado Gruzza è che spesso dal confronto emerge che abbiamo dedotto le stesse conclusioni sullo stesso argomento, pur avendo formazioni del tutto diverse. Ado è un tecnico, un allenatore, un profondo conoscitore del mondo della forza, ha costantemente sotto mano un campione umano variegato che riesce a far migliorare. Tutti i ragazzi che si allenano con Ado migliorano, dai casi umani ai campioni internazionali che ha costruito. Io sono una specie di nerd che adora allenarsi, misurare, studiare, trovare materiale scientifico per i miei allenamenti, ho a disposizione me stesso e pochi altri

Accorgersi di aver avuto la stessa idea o essere arrivati alle medesime conclusioni per percorsi del tutto differenti a mio avviso denota che queste idee debbano avere qualcosa di valido. Ad esempio, l’uso della fatica come stressor, cioè aumentare il volume di ripetizioni a parità di carico in certe fasi dell’allenamento in modo che l’atleta debba reagire alla fatica indotta dal volume stesso, concentrandosi sulla tecnica. Oppure, ed è l’oggetto dell’articolo, “l’attrezzatura rende più tecnici”.

Nel Powerlifting sotto la International Powerlifting Federation (IPF) è consentito l’uso di particolari maglie per la panca e corpetti per squat e stacco, a cui si aggiungono le fasce per lo squat. Questo abbigliamento è definito come attrezzatura o gear e le gare di Powerlifting in cui gli atleti la usano sono dette geared, a differenza di quelle dove non è consentito e che sono dette raw. Esiste di conseguenza una precisa normativa che regolamenta ognuno degli oggetti menzionati.

Sebbene agli albori questo abbigliamento avesse scopo protettivo dato dall’effetto contenitovo, oggi chi lo usa ha come unico obbiettivo quello di sollevare più carico. Dato che questo aumenta considerevolmente, moltissimi non amano questo tipo di Powerlifting che viene considerato un “barare” rispetto alle reali possibilità fisiche dell’atleta, ma “barare” significa non rispettare un regolamento comune, e non è questo il caso.

Il punto fondamentale che andrebbe compreso è che tutto il carico aggiuntivo va guadagnato perché sfruttare le capacità di ritorno elastico di questo abbigliamento necessita all’atleta di sviluppare ulteriori abilità motorie rispetto a chi non lo usa. Se cioè è vero che le fasce permettono un incremento di carico anche di 70 kg, per ottenerlo non basta metterle come ben sa chi le abbia mai provate: la prima volta l’unico effetto è quello di schizzare in avanti o indietro e di fallire l’alzata.

L’atleta deve pertanto sviluppare delle capacità di controllo sotto carico che sono superiori a chi non utilizza questi oggetti e che poi rimangono nel momento in cui l’attrezzatura viene tolta. Utilizzo non a caso il termine “superiore”, perché penso che sia proprio così ma a questo punto l’atleta raw si sente punto sul vivo. Non è così, né è una gara a chi è più bravo: il Powerlifting attrezzato è, appunto, più “tecnico” perchè certe individualità devono essere maggiormente controllate. Nella mia brevissima esperienza con questi oggetti ho proprio sperimentato questo: la necessità di maggior controllo.

Il problema dell’utilizzo dell’attrezzatura è che necessita di compagni di allenamento che faranno da spotter, aiutanti per indossare questi mezzi, impediranno infortuni da caduta, rendendo più difficile allenarsi proprio perché diventa sempre più necessaria una “squadra”. Tutti i ragazzi che conosco e che si sono messi insieme hanno ottenuto risultati eccellenti, a dimostrazione che per fare sport ci vuole un gruppo, che se è vero che Internet aiuta tantissimo, c’è poi un limite a tutto questo.

Internet è una enorme fonte di conoscenza, perché la comunicazione fra le persone diffonde le informazioni. Ringrazio perciò Luigi Merusi che su Training People ha postato un link relativo ad blog dove si commentava uno studio sullo squat con le fasce, senza di lui non avrei potuto recuperare questo materiale, che è abbastanza raro dato che analisi di questo tipo non ce ne sono.

Ho letto questo studio con molto interesse ed in questo articolo lo commenterò. Il punto è che saranno delle critiche, perché lo studio non mi è piaciuto. Vorrei che fosse chiaro che le critiche sono relative ai contenuti, non alle persone e so benissimo quanto impegno ci voglia per realizzare uno studio, scrivere l’articolo, farlo revisionare e modificarlo sulle indicazioni dei revisori.

La critica è qualcosa di sconosciuto nell’ambiente del fitness/bodybuilding ed in generale “palestra” ed è sempre vista come negativa: il guru di turno non accetta mai di essere criticato. Questo perché la critica… punge, ma è solo con la critica sui contenuti che c’è veramente metodo scientifico. Io esporrò perciò le mie critiche sui contenuti, perché mi sembra giusto farlo anche se non sono un ricercatore, non sono nel mondo universitario, non ho voce in capitolo. Se c’è qualcuno a cui non piaceranno, lo invito a replicare con altrettanti contenuti, ne avremo tutti dei benefici.

Ecco  [1], “Indossare le fasce condiziona l’output meccanico e le caratteristiche della performance dell’esercizio di back squat”del 2012 per il Journal of Strength And Conditioning Research. I ricercatori hanno fatto fare a 10 soggetti degli squat senza e con le fasce, secondo questo protocollo.

I soggetti avevano un massimale di squat di 160 kg medi con una deviazione standard di 18 kg, e negli ultimi 6 mesi non dovevano aver avuto problemi alle gambe. Per avere un’idea di come si usano le fasce, ecco le foto dell’articolo.

Le traiettorie del centro del bilanciere sono state digitalizzate e sono state poi studiate per vedere le differenze. Nell’articolo sono stati analizzati molti parametri come potenza, velocità in discesa e risalita e spostamento orizzontale del bilanciere su cui si sono concentrati i ricercatori. Al di là dei numeri, mi hanno incuriosito questi due grafici.

Sono le traiettorie del centro del bilanciere fra uno squat senza fasce, in alto, e uno con le fasce, in basso: notate come siano molto differenti. Ecco due estratti del testo dello studio, ovviamente vi prego se vi interessa di leggere l’originale e non fidarvi mai di nessuno, nemmeno di me, perché qualsiasi articolo che analizza un articolo è sempre un sapere per mezzo di terze persone, cioè c’è un filtro.

“Un improbabile risultato di questo studio è stata la relativamente grande riduzione (39% nella fase di discesa, 99% nella fase di risalita) dello spostamento orizzontale del bilanciere quando le fasce sono state indossate.”

“Improbabile” in questo contesto è che non pensavano che fosse probabile rilevare questo risultato: i ricercatori hanno notato che lo spostamento orizzontale è decisamente più contenuto con le fasce, al di là delle differenti velocità di discesa e risalita. Nella discussione dei risultati affermano:

“Indossare le fasce altera la tecnica del back squat in modo tale che ci porta a credere che (a) può essere compromesso lo sviluppo di una muscolatura bilanciata della parte inferiore del corpo e (b) che la combinazione della posizione del corpo osservata quando le fasce sono indossate e la barriera fisica nella parte posteriore delle ginocchia possa compromettere l’integrità dell’articolazione del ginocchio. Inoltre proponiamo che le fasce non dovrebbero essere indossate nell’allenamento per la forza e che se un atleta sente di aver bisogno di un ulteriore supporto per le ginocchia, l’integrità dell’articolazione va accuratamente considerata e trattata piuttosto che affidarsi ad un ausilio artificiale che può esacerbare ogni problema sottostante.”

In pratica le conclusioni di questo studio sono: la distanza indicata in figura diminuisce fra squat senza fasce e con le fasce e questo è “male” perché è una alterazione del movimento “normale” e così può creare problemi alle ginocchia. Le fasce cioè inducono una variazione di tecnica che è negativa per la qualità del movimento. Non concordo assolutamente con questa posizione.

Prima di andare avanti, vorrei fare una piccola digressione con una citazione che mi ha colpito.

“Troppo spesso ho il sospetto che sprechiamo un sacco di tempo, afferriamo l’ombra e perdiamo la sostanza, ed indeboliamo la nostra capacità di interpretare i dati e di prendere decisioni ragionevoli, qualsiasi sia il valore di P. E troppo spesso noi deduciamo “nessuna differenza” da “nessuna significativa differenza”. Come il fuoco, il test del chi quadro è un eccellente servitore e un cattivo maestro”

E’ di Sir Austin Bradford Hill, professore emerito della Università di statistica medica di Londra, tratta da [9] del 1965 dove vengono descritti quelli che si chiameranno, in seguito, criteri di Hill. Per farla breve: come hanno fatto a definire che le sigarette provocano il cancro, cioè che ci sia un nesso causale fra fumo e cancro? Con i metodi di Hill che era uno statistico. Ciò che caratterizza una persona competente da una che non lo è risiede proprio nella capacità di gestire le sue informazioni trovando soluzioni pratiche e spendibili, senza farsi fregare, lui stesso, dalla “scientificità”.

Con i criteri di Hill si sono sgamate le fesserie sul latte e l’osteoporosi, sulle scie chimiche, sul ruolo di certi prodotti e alimenti nell’alimentazione umana. Perché sono un “framework” decisionale che permette di selezionare le informazioni corrette oppure no per capire il nesso fra causa ed effetto. Un lavoro di una robustezza unica.

Già nel 1965 Hill notava, e denunciava (è il senso della citazione), che si stava perdendo la capacità di interpretare i dati, tutti presi nel dedurre il valore statistico degli stessi: la famigerata P, il chi quadro che è un test di significatività che erano indispensabili per poter essere accettati dalla comunità scientifica, ma semplici strumenti. I dati vanno guardati, ci si deve ragionare sopra, ok che debbano essere “precisi” ma i dati servono per fare ipotesi, dare indicazioni, avere intuizioni, aprire delle strade.

Tutto questo dal 1965 è solo peggiorato: studi e studi che sono oramai confezionati allo stesso modo, con il solito gergo, che però non dicono di fatto nulla, non aggiungono nulla, i dati sono significativi ma l’interpretazione di questi è carente, sbagliata, con ipotesi che sono piccoli passetti rispetto a quello che si sa ma nella direzione anche sbagliata. Come in questo caso, dove i ricercatori a fronte dei dati non sono riusciti a trovare alcuna interpretazione significativa, appiattendosi sui test di significatività e su ipotesi che sono solo “principio della cautela”, come vedremo.

Per essere pratici e, forse, comprensibili. In tutti gli studi troverete i dati espressi in termini di valori medi e di deviazioni standard, questo secondo parametro indica quanto il campione si discosta dalla media. Bene. Vediamo in questo caso.

Ci sono 10 soggetti che hanno un massimale di squat di 160 kg con una deviazione standard di 18,4 kg. Scopo del ricercatore è capire, lui stesso, il significato di questi dati. Per prima cosa, 160 kg di massimale è “poco”, cioè stiamo parlando di persone che si trovano in palestra, atleti o quant’altro. Già così potremmo concludere, senza andare avanti, che per questi soggetti non ha nessun senso mettere le fasce, pertanto lo studio è di per se inutile perché non fornisce alcuna indicazione. Se dovessi pagare due team per fare questo studio e uno mi portasse uno squat medio di 160 kg e l’altro di 200 kg, pagherei il secondo.

La deviazione standard indica una dispersione intorno alla media. Inutile però ficcarcela dentro perché è richiesta, perché “altrimenti lo studio non me lo accettano” se poi non si è capaci di interpretarla. Il ricercatore ha chiaro che la deviazione standard è un parametro che richiede una statistica di tipo Gaussiano? I dati si distribuiscono a campana? 10 soggetti sono sufficienti per avere una gaussiana?

Ok, ho fatto due simulazioni molto rozze: il campione di individui dello studio può essere composto, ad esempio, di 10 persone che hanno un massimale di squat fra 130 kg e 190 kg, cioè un campione molto disperso. Al di là del rapporto con il peso corporeo, il carico assoluto comunque qualifica le abilità dei soggetti: uno da 130 kg a 70 kg è molto più scarso di uno da 190 kg a 110 kg perché il bilanciere è “pesante” e questo si capisce solo maneggiandolo e comprendendo che comunque per tirare su 190 kg è necessario non solo essere “forti” ma anche “tecnici”.

Immaginate invece un gruppo di 10 soggetti con massimale di squat da 190 kg a 210 kg. Sarebbero tutti molto più simili fra se, e così gli effetti delle fasce sarebbero simili anch’essi fra se, fornendo informazioni migliori. In questo caso la deviazione standard sarebbe di 6,3 kg.

Cioè:

  • Team 1: campione 10 soggetti, media 160 kg, deviazione standard 18,4 kg
  • Team 2: campione 10 soggetti, media 200 kg, deviazione standard 18,4 kg
  • Team 3: campione 10 soggetti, media 200 kg, deviazione standard 6,3 kg

I soldi i se lo prende il team di ricerca n°3 perché ha il miglior campione di studio. I dati vanno interpretati. In questo caso hanno scelto il classico campione scarso.

Adesso dobbiamo comprendere se le fasce creino problemi alle ginocchia, come scritto.

Sebbene semplificate, nel disegno le forze esterne e muscolari che agiscono sul ginocchio: le forze esterne vengono compensate e superate (perché l’atleta si muove per risalite) dalle forze muscolari.

Nel disegno, le principali forze che possono danneggiare il ginocchio, generate dal complesso delle precedenti: il femore comprime la tibia, la rotula si schiaccia contro il femore. Queste forze sono compressive e sono tipiche di tutte le articolazioni: derivano, semplicemente, dal loro uso e non possono così essere considerate dannose. Ciò che può essere dannoso è un eventuale eccesso.

Nello squat le forze che agiscono sul crociato anteriore sono praticamente nulle anche se può sembrare strano: [2] fornisce un buon modello qualitativo sulle forze nello squat, mostrando come sia proprio l’angolo di chiusura che permette di non utilizzare il crociato anteriore. Aneddoticamente, ho visto un video di una persona con un crociato anteriore rotto che faceva squat sotto il parallelo con 130 kg. Le forze sul crociato posteriore sono assolutamente gestibili da un legamento sano mentre quelle sui legamenti collaterali sono irrilevanti in condizioni normali e non patologiche. Possiamo tranquillamente affermare che il successo nello squat sia dovuto ad un po’ di “culo genetico” dato che ciò che veramente lo impedisce sono varismi o valgismi estremi, rotule piccole o fatte male o disallineate con l’asse longitudinale del femore.

Ecco, di fatto, quello che dicono i ricercatori dello studio: l’articolazione con le fasce subisce uno stress che ne può minare l’integrità perché le fasce schiacciano la rotula sul femore, aumentando attriti, compressione patellofemorale, creando degli spessori non presenti senza. I ricercatori affermano questo solo sulla base di quello che si chiama “principio della cautela”: non ho elementi per dire se una cosa fa male, ma dato che provoca una variazione rispetto alla norma, è meglio ipotizzare che questa variazione faccia male. Il principio della cautela è sacrosanto, ma è come aver paura del buio: non è il buio a far paura, ma quello che ci immaginiamo ci sia nel buio.

Esistono statistiche che confrontino la percentuale di infortuni alle ginocchia nello squat eseguendolo con o senza le fasce? Ma certo che no! Come è possibile averle… via… (le avete? Ditelo!!! Le leggiamo insieme). Perciò, principio della cautela. Ma non conosciamo nulla del “fenomeno fasce”? Analizziamo cosa abbiamo a disposizione.

Ho calcolato i valori di questi istogrammi usando i dati in [4], [5], [6] che sono studi inerenti gli infortuni nel Weightlifting e nel Powerlifting competitivo. Come potete osservare, se nel Weightlifting le ginocchia sono la sede degli infortuni per il 19,1% del totale delle casistiche, questa incidenza crolla a meno della metà, 8,7%, nel caso del Powerlifting.  Chi fa Powerlifting usa le fasce, chi fa fa Weightlifting non le usa. Eppure i dati mostrano che i secondo hanno in percentuale più infortuni dei primi proprio alle ginocchia.

Gli studi di riferimento sempre citati per sostenere che lo squat non faccia male alle ginocchia sono [7] e [8] e sono citati come posizione ufficiale della Ricerca: lo squat è definito safe e healty per le ginocchia. Senza entrare nel dettaglio di questi studi, sono stati presi in considerazioni modelli e dati relativi a chi fa squat ai limiti estremi dei carichi, cioè atleti del Powerlifting, che di sicuro utilizzano le fasce per le ginocchia.

Possiamo pertanto inferire, cioè trarre una  conclusione da un insieme di fatti o circostanze (il che non è una dimostrazione certa ma una conseguenza logica derivante dalle informazioni a disposizione) che se le fasce facessero così male alle ginocchia, ne avremmo avuto una rilevazione proprio dagli studi citati. Di conseguenza possiamo se non altro affermare che non c’è nessun elemento per affermare con certezza che le fasce possano fare male alle ginocchia.

Per quanto riguarda il cambiamento della traiettoria del bilanciere senza e con le fasce, i ricercatori deducono delle condizioni errate perché errato è il presupposto che li guida. Partono cioè dall’accettazione assiomatica che la tecnica dei soggetti senza fasce sia quella corretta, pertanto qualsiasi alterazione del pattern motorio non può che essere errata. Uso il termine “assimatico” perché questa loro supposizione è a priori, non dimostrata, a meno che non si definiscano i termini di uno squat “corretto” e uno “sbagliato”.

E se invece lo squat senza fasce del campione studiato fosse errato e con le fasce fosse giusto?

Ado Gruzza da molto tempo afferma un concetto che ho sempre sposato in pieno: l’uso delle fasce, dei corpetti, delle maglie da panca nel Powerlifting eleva il tasso tecnico. Tradotto in questo caso: con le fasce devi fare lo squat meglio.

Ho riportato sulla stessa scala le traiettorie: detesto quando i grafici non hanno la stessa scala, è un errore di chi analizza i dati, l’ho visto fare in alcune presentazioni aziendali con figure fecali epocali perché quella che era una enorme variazione invece alla fine era una caccola. Il cambio scala è un errore da principianti oppure un modo per strumentalizzare i dati, non ci sono altre spiegazioni.

Come si vede, le due traiettorie sono molto differenti, quella con le fasce, a destra, è veramente ristretta. Ovviamente, sarebbe necessario controllare le traiettorie dello stesso soggetto con e senza fasce, ma nelle didascalie dello studio non è indicato a chi si riferiscano. Ho ricalcato con le splines di PowerPoint le due forme e le metto a confronto con dati a mia disposizione.

A destra la traiettoria dei 300 kg di squat con le fasce eseguiti  da Francesco Pelizza al corso istruttori FIPL 2013 e che io ho avuto l’onore di digitalizzare. Francesco è un atleta d’elite e mi ha così fornito dei dati da atleta d’elite: 300 kg di squat a 110 kg di peso corporeo sono una prestazione di livello internazionale (non che si vince un Campionato Europeo, però di sicuro si fa la propria sporca figura), perciò Francesco lo squat lo sa fare. Ora, quale traiettoria delle due dello studio è più simile a quella di un atleta d’elite? A questa ovvia conclusione ci arriva chiunque.

Sapete quanti studi ci sono che confrontano la traiettoria del bilanciere di atleti cinesi, svedesi, russi? Zero. E quanti studi ci sono che confrontano la traiettoria di “recreative lifters” con atleti d’elite? Zero. Questo è il problema.

Molto spesso non c’è bisogno, di una definizione di “giusto” o “sbagliato” di tipo top-down, stile matematico perché richiede di definire a priori il “giusto” o lo “sbagliato” dicendo il perché. Molto spesso invece una ottima guida è l’approccio bottom-up, cioè osservare ciò che accade, dato che accade non è che si può discutere su questo, e se accade possiamo considerarlo “giusto”. In questo modo si circoscrive l’analisi identificando perché quel fenomeno deve, necessariamente, essere “quello giusto” perché altrimenti non accadrebbe. Per essere pratici, i ricercatori dovrebbero se non altro partire da questa posizione: la traiettoria di “quelli forti” è quella “giusta”, per il semplice motivo che la fanno quelli forti. Poi, successivamente, chiedersi cosa significa “giusta” ma se non altro partire da un modello che è quello di gente “forte”.

A questo punto si dovrebbero porre il problema del perché il modello di “quelli forti” è anche “quello giusto”, ma anche qui si tratta, banalmente, di osservare, provare, e ragionare.

In questi disegni una discesa nello squat. La traiettoria è più o meno inclinata, e si può anche dimostrare perché sia così, però semplificando in maniera estrema: se le chiappe vanno indietro, la testa va in avanti, e alla fine il bilanciere scenderà seguendo se non una linea inclinata quanto meno una linea verticale verso il basso. Confrontate le discese delle traiettorie dello studio, senza e con le fasce i tizi scendono seguendo una linea verticale verso il basso, leggermente inclinata.

I disegni rappresentano qualitativamente il significato delle traiettorie digitalizzate nello studio: a sinistra i bilancieri nelle posizioni inferiori dello squat, a destra in due punti alla stessa profondità in risalita. Del resto quelle sono le traiettorie di bilancieri…

Adesso provate a disegnare degli omini fatti con 3 segmenti, schiena, cosce, gambe: disegnateli con le stesse lunghezze, prima nelle posizioni a sinistra sotto il bilanciere, poi nelle posizioni a destra. Dopo provate a dire chi lo fa meglio e chi lo fa peggio lo squat.

Ok, ci provo anche io…

A destra ho ruotato i segmenti che sono sempre gli stessi, sotto ho messo a confronto i segmenti delle schiene.

Se non ci credete, provateci voi è interessante. Comunque ci proviate, con le fasce la schiena è più dritta, senza fasce è più inclinata. Attenzione: non è che senza fasce la schiena è più inclinata, è che i tizi senza fasce facevano squat con la schiena più inclinata che con le fasce! Detto in altre parole, se in risalita il bilanciere si sposta anche in avanti, mi sembra evidente che tutto quello che c’è attaccato si sposti in qualche modo seguendo il bilanciere stesso, no? Sarei curioso di vedere i video del prima/dopo, guarda un po’… Abbiamo perciò aggiunto un piccolo tassellino: con le fasce i tizi hanno tenuto la schiena più eretta, il che è “bene”.

Se chiedeste ad un allenatore quale sia il motivo per cui le fasce fanno eseguire lo squat in maniera differente, vi direbbe che basta provare: le fasce amplificano qualsiasi cosa voi facciate, nel bene e nel male. Amplificano i kg che potete sollevare, amplificano i vostri pregi e i vostri difetti. Se mentre risalite andate in avanti, le fasce vi ci porteranno ancora di più, e cappotterete. Se invece non lo fate, la spinta sarà tutta verso l’alto.

Questo è l’effetto delle fasce, cioè è un effetto MIGLIORATIVO perché creano una traiettoria più obbligata in un percorso definito. Io ho semplicemente riscritto quello che gli allenatori sanno da sempre e che è opposta a quella dello studio.

Il mondo della Ricerca potrebbe avvantaggiarsi di un patrimonio di conoscenze ed esperienze immense, eppure non lo fa. Questo studio ne è una dimostrazione, dato che come diceva Hill non c’è stata la capacità di interpretare i dati.

Sebbene l’articolo sia stato molto lungo e anche molto pesante, ho preferito dettagliare tutti i passaggi logici per arrivare alle mie conclusioni. Manca il tassello finale per completare il quadro: fornire una spiegazione del perché con le fasce la traiettoria è più obbligata in un certo percorso. Ma è possibile affrontare il problema solo se si arriva a questo punto, liquidando tutte le questioni accessorie che distrarrebbero.

Ok, perché allora la traiettoria è più obbligata in questo (beep) di percorso? Se siete arrivati a leggere questa frase, sarete anche in grado di pazientare fino al prossimo articolo.

 

Bibliografia

[1] – Wearing knee wraps affects mechanical output and performance characteristics of back squat exercise – Lake et alii – Journal of Strength And Conditioning Association, 2012

[2] – The effects of knee wraps on weightlifting performance and injury – Hartman et alii – Journal of Strength And Conditioning Association, 1990.

[3] – Hip extension, knee flexion paradox: A new mechanism for non-contact ACL injury – Hashemi et alii – Journal of Biomechanics, 2011

[4] – Injury Incidence And Prevalence among Elite Weight And Power Lifters – Raske, Norlin – The American Journal Of Sports Medicine – 2002

[5] – Retrospective injury epidemiology of one hundred one competitive Oceania powerlifters: the effects of age, body mass, competitive standard and gender – Keog et alii – Journal of Strength And Conditioning Association, 2006

[6]- Injuries and overuse syndromes in powerlifting – Siewe et alii – International Journal of Sports Medicine, 2011

[7] – Knee biomechanics of the dynamic squat exercise – Escamilla et alii – Medicine and science in sports and exercise, 2001

[8] – Effects of technique variations on knee biomechanics during the squat and leg press – Escamilla et alii – Medicine and science in sports and exercise, 2001

[9] – The environment and disease: Association or causation? – Hill – Proceedings of the Royal Society of Medicine, 1965

FEDORENKO VS SUSLOV, OVVERO: I MECCANICI DELLA FERRARI E CHI TRUCCA GLI SCOOTER IN GARAGE

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di Ado Gruzza


Imperversa su internet il video (pure mozzato e non certo HD) di un testa a testa ai campionati russi 2006 tra Yuri Fedorenko e Nikolay Suslov. Certo che per gli appassionati, malgrado la qualità bassa e la cattiva (per essere eufemistici) gestione del montaggio, questo è un video super. Per tanti motivi: si vede una gara nazionale, per questo il video è piuttosto raro, si vedono atleti al massimo della loro carriera ora ritirati, si vede l’icona vivente Boris Sheyko dare consigli ed esultare. Insomma una summa di fattori che all’appassionato vero rendono questo video fighissimo e piuttosto cult.

Ecco il video in questione:

Fedorenko vinse questa gara, tiratissima e finita per differenza di peso corporeo, valida per i titolo nazionale russo. Vinse con carichi letteralmente inimmaginabili all’ultimo stacco, facendo un 405 kg che tutt’ora è lo stacco più alto di sempre in quella categoria di peso. In pratica arrivarono alla fine allo stesso totale (somma di squat, panca piana e stacco da terra) e Fedorenko vinse perché pesava qualche etto in meno. Ovviamente fu una gara estremamente tattica.

Nello squat Suslov era avanti di 30 kg. Alla panca Fedorenko riuscì a mantenere il distacco intatto a meno 30 kg. Di stacco, in terza prova Suslov sollevò durissimamente 375 kg, convinto di aver vinto la gara. Senza dubbio era impensabile che qualcuno potesse sollevare 30 kg in più di quel peso. Sheyko ci provò, chiamò quel peso folle in terza, e gli disse bene. I 405 salirono e Fedorenko vinse il campionato russo, che in quell’anno fu più immensamente più competitivo che gli stessi mondiali IPF.

L’alzata non fu omologata a record del mondo perché non effettuata in una competizione internazionale.

Considerate che per un atleta russo vincere i nazionali significa qualificarsi per i mondiali o europei. Qualifica che rende un atleta un MSIC, cioè una atleta che può in qualche maniera fare il professionista dello sport. La posta in gioco è molto alta.

In più c’è da considerare che gli atleti si trovano a combattere in gare dove in tanti sono allo stesso livello, e a quel punto è una finezza, o un errore in meno a fare la differenza. Lo stress è altissimo e la carriera di un atleta diventa segnata dall’obbligo di non sbagliare. Se Suslov avesse sollevato solo 2,5 kg in più nello squat (i suoi 430 non erano poi al limite) a Fedorenko sarebbero toccati 407,5 kg, e a quel livello, probabilmente sarebbero bastati per cambiare tuta la storia di questa storica gara.

Nel Powerlifting a certi livelli non vince il più forte, perché in tanti sono forti allo stesso livello. Vince che sbaglia meno, chi ha più palle, chi non sbaglia la tattica, chi condiziona l’avversario all’errore eccetera eccetera. Contate soltanto quanto vale avere la possibilità di essere l’ultimo ad entrare in pedana nello stacco. Non vi immaginate quanto gestire la gara con saggezza sia importante.

Di questo video possiamo pensare una sacco di cose, fare una marea di considerazioni: tra pensieri  di doping e sovrallenamento, mitologia russofila, maniacalità tecnica poco consapevole, possiamo dire quello che ci pare.

Però abbiamo pure l’occasione di fare qualche valutazione interessante.

Innanzi tutto c’è da dire che la nostra indole italica di essere 60 milioni di commissari tecnici, sta pian piano venendo fuori anche nel powerlifting e nei pesi in generale, dove è sempre più facile sentire commenti poco, diciamo, sul pezzo. Come in tutte le cose della vita, occorre esperienza, occorre tanto lavoro sul campo e poco, pochissimo studio convenzionale. Si, poco studio, perché nel capire le qualità di Suslov piuttosto che i limiti di Fedorenko, il 30 e lode in anatomia vi verrà pochissimo in soccorso. Non vi immaginate le cagate che sono uscite tra le domande fattemi quando qualche settimana fa feci lezione all’università. Non erano gli studenti pirla, molto spesso era proprio ‘il prof Picopallino ci ha detto che’ e poi giù, una sequela di erroroni che anche l’ultimo seguace di Training People non commetterebbe mai. Roba tipo: quando fate squat tenete le punte convergenti perché l’ileopsoasfacontattoconlatibiotarsica. Esagero molto meno di quanto possiate pensare.

Bisogna studiare (e tanto) quello che succede al corpo, come complesso (sottolineo complesso) di risposte in relazione allo stimolo. Allora quale miglior libro di testo di un bel piano di allenamento? Eccovi serviti.

Fedorenko era un atleta di Sheyko, fatto in casa. Questo ci permette di avere una  lettura completa dei piani di lavoro di questo atleta. Perché Sheyko li ha scritti meticolosamente, volumi, carichi, intensità medie. Davvero non so quanti ne ho letti e confrontati, cercando di capire tempi di adattamento, carichi e scarichi.

Mi è capitato tra le mani un piano di Fedorenko in fase preparatoria. Relativo al periodo precedente di preparazione alla coppa di russia, qualificazione ai mondiali 2001 in Finlandia.

Nella gara precendente a questa, nel mese di marzo dello stesso anno aveva totalizzato:

  • Squat – 340 kg
  • Panca piana – 215 kg
  • Stacco da terra  - 335 kg

La cosa fondamentale è che Suslov è un super campione dotatissimo. Ha vinto diversi mondiali già da giovanissimo, ha una tecnica personalissima e poco replicabile, davvero è un “talentissimo”.

Fedorenko, in quel contesto è un atleta costruito e impostato. Ha lavorato una enormità sui suoi punti deboli, sulla gestione tecnica (solo il fatto che tiri in hook grip fa pensare al fatto che abbia lavorato molto sulla rotazione del bacino) arrivando ad essere quell’atleta che pur non essendo il super fenomeno, arriva quel giorno, in quel determinato momento, a fare il capolavoro e costruisce una carriera stellare.

 

PRIMA SETTIMANA – Dal 06 al 12 Agosto

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Lunedì (понедельник)
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1.Squat 255 x 3 x 2 serie, 290 x 2 x 4 serie
2.Bench Press,155 x 3 x 2 serie, 175 x 3 x 5 serie
3.Squat 240 x 3 x 2 serie, 272,5 x 2 x 4 serie
4.Chest Muscles 10 x 5 serie
5.Abs
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Martedì (вторник)
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1.Deadlift on box 205 x 3 x 2 serie, 240 x 2 x 4 serie
2.Incline press 4 x 5 serie
3.Lock out  3 x 5 serie
4.Lat Pull Down 6 x 6 serie
5.Abs
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Mercoledì (среда)
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1.Deadlift 272,5 x 3 x 3, 290 x 2 x 4 serie
2.Bench Press 185 x 2 x 5 serie
3.Chest Muscles 10 x 5 serie
4.Front squat  4 x 5 serie
5.Good Mornings 8 x 4 serie
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Venerdì (пятница)
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1.Squat 270 x 3 x 5 serie
2.Bench Press 175 x 3 x 6 serie
3.Squat 255 x 4 x 4 serie
4.Triceps 10 x 5 serie
5.Abs
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Sabato (суббота)
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1.Deadlift to knees 270 x 2 x 4 serie
2.Bench Press 165 x 4 x 5 serie
3.Floor Press 3 х 5 serie.
4. Deadlift off boxes 320 x 2 x 3 serie
5.Leg Press 4 х 5 serie
6.Abs
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SECONDA SETTIMANA –  Dal 13 al  19 Agosto

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Lunedì (понедельник)
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1.Bench Press 175 x 2 x 2 serie, 200 x 1 x 3 serie
2.Squat 270 x 2 x 5 serie
3.Bench Press 185 x 2 x 3 serie
4.Chest Muscles 10 x 5 serie
5.Good Mornings 5 x 5 serie
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Martedì (вторник)
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1.Deadlifting on box 255 x 1 x 5 serie
2.Incline Bench 4 x 6 serie
3.Floor Press 3 x 5 serie
4.Lat Pull Down 6 x 5 serie
5.Abs

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Mercoledì (среда)
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1.Deadlift 270 x 2 x 2 serie, 305 x 1 x 3 serie
2.Bench Press 175 x 3 x 5 serie

3.Chest Muscles 10 x 5 serie
4.Deadlift off boxes 290 x 4 x 4 serie
5.Good Mornings 8 x 4 serie
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Venerdì  (пятница)
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1.Squat 275 x 2 x 2 serie, 305 x 1 x 3 serie, 275 x 2 x 2 serie
2.Bench Press 175 x 2 x 6 serie
3.Lock out 2 x 6 serie
4.Chest Muscles 10 x 5 serie
5.Abs
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Sabato (суббота)
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1.Deadlift 290 x 2 x 5 serie
2.Bench Press 165 x 4 x 5 serie
3.Triceps 10 x 5 serie
4.Deadlift “rebra” 235 x 4 x 4 serie
5.Good Mornings 5 x 5 serie

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TERZA SETTIMANA – Dal 20 al  26 Agosto

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Lunedì (Понедельник)
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1.Squat 290 x 2 x 5 serie
2.Bench Press175 x 3 x 6 serie
3.Squat 275 x 3 x 4 serie
4.Chest Muscles 10 x 5 serie
5.Hyperextension 8 x 4 serie

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Martedì (вторник)
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1.Deadlift on box 215 x 2 x 6 serie
2.Bench Press 160 x 3 x 5 serie
3.Floor Press 3 x 5 serie
4.Front squat  4 x 5 serie
5.Good Mornings 5 x 5 serie
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Mercoledì (Среда)
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1.Deadlift to knees 255 x 3 x 5 serie
2.Bench Press 175 x 3, 185 x 2 x 4 serie
3.Deadlift 270 x 3 x 5 serie
4.Leg press 4 x 5 serie
5.Good Mornings 5 x 5 serie
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Venerdì (пятница)
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1.Squat 255 x 4 x 4 serie
2.Bench Press 175 x 3 x 7 serie

3.Chest Muscles 10 x 5 serie.
4.Lat Pull Down 5 x 5 serie
5.Hyperextension 8 x 4 serie
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Sabato (суббота)
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1.Deadlift 243 x 3 x 2 serie, 270 x 3 x 2 serie, 295 x 2 x 4 serie
2.Bench Press 160 x 4 x 5 serie
3. Deadlift off boxes 280 x 4 x 2 serie, 310 x 4 x 4 serie
4.Triceps 10 x 5 serie
5.Squats variation 5 x 5 serie
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QUARTA SETTIMANA – Dal 27 Agosto al 02 Settembre

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Lunedì (понедельник)
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1.Squat 300 x 2 x 5 serie
2.Bench Press 175 x 3 x 6 serie
3.Chest Muscles 10 x 5 serie
4.Squat 280 x 2 x 5 serie
5.Good Mornings 8 x 5 serie.

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Martedì (вторник)
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1.Deadlift on box 245 x 2 x 6 serie
2.Floor Press 2 x 6 serie
3.Lat Pull Down 5 x 5 serie.
4.Abs
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Mercoledì (среда)
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1.Deadlift 280 x 3 x 2 serie, 300 x 2 x 4 serie
2.Bench Press 175 x 3 x 2 serie, 197,5 x 2 x 2 serie
3.Deadlift off boxes 325 x 2 x 2, 345 x 1 x 2 serie
4.Hyperextension 8 x 4 serie
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Venerdì (пятница)
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1.Squat 290 x 3 x 6 serie
2.Bench Press 175 x 3 x 2 serie, 185 x 2 x 2 serie, 175 x 3 x 3 serie
3.Chest Muscles 10 x 5 serie
4.Abs
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Sabato (суббота)
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1.Deadlift to knees 280 x 2 x 5 serie
2.Lock out 3 x 5 serie
3.Heavy dumbbell bench 5 x 5 serie
4.Deadlift rebra 220 x 4 x 4 serie

5.Leg Press 4 x 5 serie
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QUINTA SETTIMANA – Dal 03 al 09 Settembre

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Lunedì (понедельник)
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1.Squat 300 x 2 x 5 serie
2.Bench Press 170 x 3 x 6 serie
3.Chest Muscles 10 x 5 serie
4.Squat 280 x 2 x 4 serie
5.Good Mornings 5 x 5 serie
6.Abs
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Martedì (вторник)
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1.Deadlift on box 245 x 2 x 5 serie
2.Close grip bench Press 160 x 3 x 5 serie
3.Lat Pull Down 6 x 6 serie
4.Hyperextension 8 x 4 serie
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Mercoledì (среда)
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1.Deadlift 260 x 3 x 2 serie, 300 x 2 x 4 serie
2.Bench Press 175 x 3 x 2 serie, 185 x 2 x 4 serie
3.Chest Muscles 10 x 5 serie
4. Deadlift off boxes 350 x 2 x 3 serie
5.Abs
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Venerdì (Пятница)
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1.Bench Press 175 x 3 x 5 serie
2.Squat 280 x 3 x 6 serie
3.Bench Press 160 x 5 x 4 serie
4.Chest Muscles 10 x 5 serie
5.Abs
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Sabato (суббота)
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1.Deadlift 280 x 2 x 5 serie
2.Incline Bench 3 x 5 serie
3.Lock out 3 x 5 serie
4.Triceps 10 x 5 serie
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Al corso istruttori FIPL di quest’anno, facemmo una analisi giorno per giorno, seduta per seduta di un piano di Sheyko per la panca piana di 14 settimane. Non voglio addentrarmi in una analisi così approfondita per due motivi fondamentali: il primo è molto semplice. Una analisi tecnica così avanzata credo debba restare a chi ha partecipato al corso Advanced, non solo per il banale rispetto che si deve a chi ha scelto di partecipare ad un percorso formativo così complesso, piuttosto perché la mancanza nel lettore di questo percorso potrebbe rendere fuorviante la visione dei dati. Non a caso ho cancellato ogni tipo di calcolo di volumi ed intensità. L’anno prossimo lo rifacciamo, per cui avete tempo.

Il secondo è ancora più semplice: non voglio che tutto ciò che riguarda un certo tipo di allenamento sia filtrato dalle mie analisi. Sono convinto che cercare di capire come funziona il giochino sia parte integrante del giochino. O almeno, così è stato per me.

Cerchiamo i punti fondamentali.

1. Innanzi tutto i carichi sono estremamente lontani da qualli sollevati in gara.

Di squat si lavora quasi esclusivamente tra i 270 e più raramente 300 kg.

Sembrerebbero una mattonata, certo, però non così tanto se si pensa che l’atleta è riuscito a concludere, e qualitativamente, 60 kg in più in gara ai mondiali di novembre. Non ho detto 6kg, ho detto SESSANTA.

Allora tutta la prosopopea del sentire il peso? Il massimo reclutamento derivato dai massimi carichi? La necessità secondo Zatsiorsky di arrivare ad esaurire i muscoli per reclutare al meglio, tutte balle? Ragioniamoci serenamente. Forse, in effetti, un pochino si.

2. Ci sono tanti modi per sviluppare un ottimo atleta. Questo, di derivazione altamente sovietica, rappresenta un metodo. Supportato da moltissime analisi e tantissimi risultati.

Un metodo frutto di rigorosissimi calcoli volumetrici e di intensità medie. Calcoli che oggi forse ci appaiono eccessivamente minuzioni.

Io per diversi anni ho seguito logiche sovietiche molto vicine a queste, e che in casi particolari e talune situazioni specifiche ancora seguo. Ora come ora faticherei a definirmi uno allenatore fedele  al modello sovietico, anche perché mi sono scoperto estremamente vicino alla scuola Cinese. Dalle informazioni che ho avuto, ho trovato un’incredibile similitudine rispetto alla filosofia che ho maturato in questi anni e quella della scuola di Pechino. Scuola cinese che nella mia personalissima visione (ripeto filosofica, perché di questo si tratta) ha grandissime attinenze con le logiche scoperte e amate utilizzando idee di matrice sovietica.

Dicevo che quella presentata in questo piano di 5 settimane è una maniera molto funzionale per costruire atleti. Non è però LA maniera. Ce ne sono altre. Questa però mette l’accento su punti che siamo obbligati a non sottovalutare.

Se ai massimi livelli assoluti dello sviluppo della forza, affrontano il carico con un certo tipo di logiche, saggiamente, noi (inteso il lettore) non possiamo fare finta di non vedere.

3. Le sedute settimanali sono cinque. Sono sicuro che in altri periodi della sua carriera abbia affrontato pure doppie sedute giornaliere. Il punto è che in questa fase della carriera ha fatto cinque sedute. Cinque, non venticinque. Lo sottolineo perché la moda della multifrequenza, che con piacere mi ha trovato tra i promotori principali, ha creato una folle sottocultura. Alcuni giovani atleti o appassionati o piuttosto nerds da internet, belli carichi dall’averci sentito dire a qualche corso o su qualche articolo, che quelli forti, i russi, si allenano 18 volte a settimana, finiscono per allenarsi più di Suslov e Fedorenko.

Allenarsi spesso serve per replicare tensioni massimali (non carichi massimali, attenzione) con la massima frequenza possibile. La cosa serve soltanto ad un atleta molto efficiente, in grado di sviluppare alti gradienti di forza in un assetto ottimale. Se siete bravi o bravini, vi serve soltanto allenarvi bene e semplice.
Replicare spessissimo un gesto scomposto ed inefficiente non è detto che sia tutta questa genialata. Per cui, come dico sempre: cercate di capire a che livello siete. Facendo i programmi dei campioni non si diventa campioni, spesso si stagna o si allenano qualità inutili e se ne deallenano altre fondamentali a quel livello di qualificazione.

4. I carichi non sono lineari. Cioè non è che la prima settimana di squat si sollevano 255 kg e la quinta 340 kg. Tutt’altro. Il massimo carico è sviluppato la seconda settimana, con tre singole a 305 kg mentre le altre settimane presentano un alternanza di carichi che è stabilizzata tra 255 a 290 kg, tutte svolte con un numero di ripetizioni fattibile.

Il “challenge” qui non sta nel riuscire a completare il numero di ripetizioni per le serie indicate, come potrebbe essere in un qualunque programma ‘di forza’ occidentale, quanto quello di riprodurre, seduta dopo seduta i volumi indicati, in maniera da portare nei mesi (solitamente tre) l’atleta al massimo dei massimi della propria performance. Per arrivare, quando serve, ad avere il tipo di esplosività con carichi massimali che Yuri Fedorenko dimostra in questo straordinario video.

Ripetere un carico importante, che ottimizzi il reclutamento comunque, in maniera da averne il massimo controllo. Quando spari 200 kg al cielo, hai 220 kg di sicuro. Questa brutalmente la logica. Per sparare 200kg ti serve lavorare in maniera da cucinarti ma non cuocerti. Chiaro lo slang da powerlifter?

Insomma, apparentemente non c’è una logica nella distribuzione dei carichi. Difficile pensare, però che Boris Sheyko le sbatta sul foglio a caso. Difficile davvero.

Studiando sta roba ho studiato quali che fossero le motivazioni secondo il quale queste fatidiche % erano distribuite. Oltre al cercare di capire cosa si ricercasse da una determinata % di carico o che tipo di sforzo questa potesse prefigurare.

Ecco a queste domande dovreste cercare di rispondere. Non limitatevi a scopiazzare questo, pur bellissimo, programma.

Leggete questo allenamento, immedesimatevi, provate a pensare a che tipo di stimolo e stress possa dare al corpo, quali le difficoltà e quali le cose difficili da compiere. Pensate anche che questo atleta lavora così per tutto l’anno, per anni di carriera.  Immaginatevi la fatica estrema di entrare in palestra giorno dopo giorno macinando serie di squat, poi panca piana e ancora squat in allenamenti lunghissimi e con carichi, per quanto gestibili in proporzione, davvero grandi. Perché il punto è che se anche le % sono moderate, i massimali salgono al punto da far si che test dopo test, il peso in senso assoluto sia davvero enorme.

Ecco le altre cinque settimane. Questo sono quelle puramente competitive che portano alla gara.

 

PRIMA SETTIMANA COMPETITIVA – Dal  10 al 16 Settembre

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Lunedì
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1. Squat 275 x 2 x 2, da 305 a 325 x 1 x 3 serie

2. Bench press 175 x 2 x 2, da 200 a 210 x 1 x 3 serie

3. Chest muscles  10 x 5 serie

4. Dorsali 8 x 5 serie

5. Hyperextenssion 8 x 4 serie

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Mercoledì
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1.Deadlift 275 x 2 x 2, da 305 a 325 x 1 x 3 serie

2. Bench press  175 x 3 x 6 serie

3. Triceps 8 x 4 serie

4. Deadlift off blocks 290 x 4 x 4 serie

5. Abs
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Venerdì
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1.Squat 270 x 2 x 6 serie

2.Bench press 165 x 3 x 2 serie, 185 x 2 x 3 serie, 175 x 3 x 2 serie

3.Lock out 2 x 5 serie

3.Chest muscles 8 x 4 serie

4.Hyperextension 8 x 4 serie

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Sabato
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1.Deadlift on block 235 x 2 x 6 serie

2. Benach press 175 x 2 x 5 serie

3.Triceps 8 x 4 serie

4.Deadlft 270 x 2 x 6 serie

5.Abs
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SECONDA SETTIMANA – Dal 17 al  23 Settembre

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Lunedì
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1. Panca piana 190 x 2 x 4 serie

2. Squat 290 x 2 x 3 serie, 275 x 3 x 2 serie

3. Panca piana 175 x 3 x 4 serie

4. Chest 8 x 4 serie

5. Hyperextension 10 x 3 serie

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Mercoledì
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1.Panca piana 175 x 3 x 6 serie

2.Deadlift 270 x 3 x 3 serie, 290 x 2 x 3 serie, 275 x 3 x 2 serie

3.Lock out 3 x 6 serie

4.Abs
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Venerdì
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1. Bench press 175 x 2 x 5 serie

2. Squat 270 x 3 x 5 serie

3. Bench press 165 x 3 x 4 serie

4. Chest 8 x 4 serie

5. Goodmorning 5 x 5 serie

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Sabato
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1. Deadlift 275 x 3 x 5 serie

2. Incline bench press 3 x 5 serie

3. Lock out 3 x 5 serie

4. Squat variation 4 x 4 serie

5. Abs

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TERZA SETTIMANA – Dal 24 al 30 Settembre

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Lunedì
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1. Squat 275 x 2 x 2 serie, 290 x 1 x 3 serie, 275 x 2 x 2 serie

2. Bench press 175 x 3 x 6 serie

3. Chest 8 x 4 serie

4. Squat variation 4 x 4 serie

5, Hyperextension 8 x 4 serie

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Mercoledì
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1. Bench press 175 x 3 x 2, 187,5 x 2 x 2, 175 x 3 x 3 serie

2. Deadlift 270 x 2 x 2 serie, 290 x 1 x 3 serie

3. Lock out 2 x 4 serie

4. Abs

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Venerdì
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1. Squat 272,5 x 2 x 5 serie

2. Panca piana 175 x 2 x 5 serie

3. Chest 10 x 5 serie

4. Goodmorning 4 x 4 serie

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Sabato
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1. Deadlift 270 x 2 x 5 serie

2. Bench press165 x 3 x 4 serie

3. Sitting Row 6 x 4 serie

4. Abs 8 x 4 serie

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QUARTA SETTIMANA – Dal  01 al 07 Ottobre

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Lunedì
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1. Squat 275 x 2 x 5 serie

2. Bench press 175 x 3 x 5 serie

3. Chest 6 x 4 serie

4. Goodmorning 4 x 4 serie

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—————————
Mercoledì
—————————

1. Bench press 175 x 2 x 5 serie

2. Chest 8 x 4 serie

3. Deadlift 255 x 2 x 4 serie

4. Abs 10 x 3 serie

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Venerdì
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1. Squat 255 x 2 x 5 serie

2. Bench press 165 x 2 x 2, 175 x 1 x 3 serie

3. Hyperextension 6 x 4 serie

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QUINTA SETTIMANA – Dal 08 al 14 Ottobre

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Lunedì
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1. Bench press 155 x 2 x 2, 165 x 1 x 3 serie

2. Deadlift 235 x 2 x 4 serie

3. Hyperextension 5 x 3 serie

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Mercoledì
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1. Squat 235 x 2 x 3 serie

2. Bench press 150 x 2 x 3 serie

SABATO – GARA

  • Squat – 350 kg
  • Panca piana – 220 kg
  • Stacco da terra – 350 kg


Un mese dopo, ai mondiali di Trencin ha totalizzato:

  • Squat – 360 kg
  • Panca piana – 220 kg
  • Stacco da terra – 350 kg

Ora non vi resta che studiare. Se avete dubbi, sapete dove contattarmi.

JOINT MOBILITY FOR POWER LIFTERS: COME INCREMENTARE LE PERFORMANCES CON UNA MIGLIORE MOBILITÀ ARTICOLARE

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di Daniele Baioletti

Scrivo questa breve introduzione da quel di Copenaghen, città nella quale sto partecipando alla mia terza I-Phase: i miei colleghi italiani mi hanno appena raggiunto all’hotel…

La premessa di questa serie di articoli, una sorta di “diario di allenamento”, nasce circa 3 mesi fa: lo scorso 5 maggio a Roma, in occasione del seminario tenuto dal maestro Teo Kirksman e dal tecnico Ado Gruzza, mi venne in mente di lanciare, d’intesa con l’Accademia Italiana della Forza, un ciclo di eventi didattici sulla mobilità articolare; ideai così un percorso divulgativo nel quale sviluppare e proporre al pubblico l’importanza delle mobilizzazioni non soltanto come strumento di “riscaldamento”, ma anche come tool nelle mani dell’atleta finalizzato, in particolare, alla prevenzione degli infortuni o semplicemente a lenire alcuni fastidi ricorrenti.

Mi ero già occupato di questo argomento con un approccio generico in un mio precedente articolo pubblicato su AIF lo scorso anno: DJM 4 PLERS

Punto di partenza: selezionare un atleta di PL di livello medio/alto; la scelta, nel caso specifico, è caduta su Antonio Contenta (23 anni, 86 kg di peso corporeo), serio studente di farmacia, dai buoni risultati in pedana FIPL.

PR:

  • Squat – 245 Kg
  • Panca – 200 Kg
  • Stacco da terra – 230 Kg

L’ intento è quello di sottoporre il soggetto selezionato a test kinesiologici ed antropometrici all’inizio di questo “viaggio” a due e vedere se e come essi varieranno nel tempo. Lungi dall’avere pretese di un articolo scientifico, il percorso potrà essere utile a tracciare andamenti e risultati che atleti ed allenatori hanno già sotto i propri occhi ogni giorno in palestra.

Pronti, partenza: via!

Incontro Antonio a Roma sabato 8 Giugno per sottoporlo ai primi test.

Inizio con quelli di composizione corporea: alla prima valutazione Antonio si presenta con un peso corporeo  di 86 Kg per 176 cm di altezza; la sua BF è del 16,3% circa: cioè 14 Kg di fat mass ed i restanti 72 Kg di fat free mass.

All’intervista conoscitiva iniziale Antonio avverte dolori alle spalle (zona anteriore di entrambe) su parecchi dei movimenti, ed ai gomiti (di tipo invalidante, tanto che, tempo fa, gli impedivano quasi tutti gli esercizi di spinta) a livello dei brachioradiali, sempre bilateralmente; al ginocchio dx, in alcuni test.

Per la parte di kinesiologia, su un totale di 116 test manuali per i principali muscoli del corpo umano, ne trovo ben 47 deboli. Insomma i suoi 200kg di panca li solleva “senza” un gran dorsale, entrambi i sovra spinosi, intra ed extrarotatori e molti altri ancora. Questo lascia immaginare quanto siano grandi le abilità compensatorie del corpo umano: penso già a quando, al termine del programma di training articolare, tutti questi muscoli saranno tornati “on-line”…

Di seguito, invece, i risultati dei test di mobilità iniziale:

  • nell’abduzione laterale di entrambe le spalle il ROM è ridotto (maggiormente a sinistra) e il soggetto avverte tensioni abnormali a livello della parte anteriore della spalla;
  • nella flessione delle spalle la tensione è localizzata sempre nella stessa zona ed ancora una volta il ROM è ridotto (in misura maggiore a sinistra);
  • nella flessione del busto in avanti (toe touch) la mobilità di partenza è già buona, ma la tensione è localizzata a livello degli arti inferiori, nella parte posteriore della coscia.

Introduco ad Antonio la spiegazione dell’esecuzione di alcuni esercizi di mobilità articolare (per caviglie e bassa schiena), in numero ridotto e targetizzato in base alle sue esigenze, preferendo un’attenzione maggiore del solito alla perfezione del movimento.

Dopo il primo esercizio per la caviglia la tensione nelle spalle è già ridotta del 60% in entrambi i lati e la mobilità migliora di una media di 10/15°.

Dopo il terzo esercizio Antonio ha già raggiunto il massimo ROM e riporta una sensazione di leggerezza e minor fatica nel sollevare le braccia.

Dopo neanche 3 giorni il suo feedback attraverso un PM di Facebook è il seguente (riporto le testuali parole) :

“..sabato (subito dopo la seduta, Ndt) ero abbastanza sciolto nello Squat e la percezione dei piedi era completamente un’altra, nel senso che quando poggiavo male riuscivo a sentirlo e correggere in corsa; panca non ero un fulmine di guerra ma ero imballato; la propriocezione della parte bassa l’ho sentita migliorata, dei piedi soprattutto”.

Dopo pochi giorni (il 17 giugno) mi scrive:

“I test di mobilità sono ok, quello della schiena migliorato in modo imbarazzante; le spalle, c’è sempre l’asimmetria, una va di più lateralmente, l’altra di più frontalmente… però procede bene, una volta presa confidenza con gli esercizi è anche veloce da fare…”

Un inizio molto incoraggiante…

Tra un mese circa valuterò nuovamente i progressi di Antonio e pubblicherò un breve report di aggiornamento sui suoi protocolli di allenamento ed i relativi incrementi prestativi ottenuti grazie ad essi.

Stay tuned!

Tutte le foto per gentile concessione dell’autore: tutti i diritti riservati.

 

Note sull’autore

Daniele Baioletti – Strength & Conditioning Coach; Dott. in Scienze Motorie e Sportive; P.I.C.P. level 2; Biosignature & P.I.M.S.T. practictionner; R-Phase, I-Phase & T-Phase pratictionner; Docente, Istruttore e Personal Trainer 4° livello F.I.P.E.; Istruttore F.I.P.L.; Operatore Fitness metabolico; Tecnico Rianimatore certificato.

Per ulteriore info e contatti: www.danielebaioletti.com

IL PROFESSOR ARBEIT: I MECCANICI FERRARI E CHI TRUCCA GLI SCOOTER IN GARAGE DUE

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a cura di Ado Gruzza e Antonio Gardelli


Nella storia dell’allenamento esistono quegli allenatori mitologici, quei generali della tattica che diventano figure iconiche. Esistono in tutti gli sport, nel calcio, nella pallavolo, tantissimi nel basket, nell’atletica.

Particolarmente esistono negli sport di forza, dove il mito e la leggenda si intrecciano spesso con la passione degli atleti e la loro ricerca verso la miglior soluzione tecnica.

Ivan Abadjiev, Alexey Medvedyev, lo stesso Sheyko, ora c’è pure Wolf e nei lanci Bondarchuk e Arbeit. Tutti nomi di gente che ha vinto tantissimo, che raramente si è spesa al di fuori del loro contesto puramente agonistico. Personaggi refrattari alla scena. Se sommiamo risultati pazzeschi con personalità molto forti ecco che ne esce il mito.

Ekkart Arbeit, l’ultimo della lista dei citati è stato il mitico direttore della nazionale di atletica della Germania Est. In particolare è stato il deus ex machina della nazionale di lanci.

Sostanzialmente uno scienziato e uno studioso di sport. Un esperto assoluto di lanci, allenatore di alcuni dei più forti lanciatori della storia dell’atletica leggera. Un personaggio estremamente discusso, ovviamente per storie di doping, in quella nazione in cui si fecero cose eticamente molto poco accettabili.

Arbeit è stato però senza dubbio un innovatore e per quello che interessa a noi, un grande esperto di forza.

I lanci e in particolare il getto del peso, richiedono, per primeggiare, livelli di forza incredibili. Leggende sui massimali di Udo Beyer ne girano da parecchi anni. Al di là dei numeri gonfiati, indiscutibilmente questi atleti riuscirono a mettere in fila carichi che li renderebbero davvero competitivi anche in un contesto agonistico di powerlifting o pesistica olimpica. Per cui, il signorino di forza se ne intende, molto ma molto di più della maggioranza dei soggetti dai quali possiamo ottenere facilmente informazioni oggi giorno.

L’interessante è che l’approccio è completamente diverso a qualunque cosa che noi possiamo aver incontrato prima. A volte sembra quasi un becero bodybuilding, altre volte poi ti accorgi che è un modo per spingere le possibilità di reclutamento ancora più in là.

Pensando al lavoro di Arbeit mi è balzato alla mente il fatto che un mio ex concittadino avesse avuto, proprio alla fine dell’epopea della grande Ggermania Est, l’opportunità di allenarsi direttamente con lui, in quanto sul finire degli anni 80 fu al centro federale Italiano prima con la nazionale tedesca poi come tecnico esterno, e il mio amico in quel tempo era un lanciatore della nazionale Italia.

Un po’ come se aveste un conoscente che avesse avuto la possibilità di essere allenata in persona da Abadjiev o da Sheyko. Un conto è leggere un programmino, un conto è vedere cosa si faceva davvero, sul campo, con feedback diretti da chi lì, c’era.

Ho chiesto ad Antonio Gardelli (che altri non è se non il fortunato ad aver vissuto direttamente questa esperienza sportiva di alto livello) che già ha scritto su queste pagine, in occasione di un seminario sulla forza nel calcio con l’AIPAC, se avesse avuto modo di trovare i suoi vecchi diari di allenamento dell’epoca.

Pochi giorni fa mi risponde su Facebook, messaggio privato, che recita più o meno così: Ado, se sei in piedi, siediti, perché è roba, che vista col senno di oggi, davvero è pazzesca.

Vero! Raramente ho visto un programma di allenamento più brutale e folle. Se non l’avesse fatto Arbeit in persona l’avrei bocciato come la follia di un personal trainer invasato. Invece non è proprio così.

Ecco il racconto diretto di Antonio, una esperienza praticamente unica. Tutto scritto in prima persona. Non credete alla modestia, davvero è stato un atleta eccezionale rispetto ai nostri parametri amatoriali. Quanti di voi sarebbero così interessanti da poter essere allenati dal direttore della nazionale della Germania EST.

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Foto per gentile concessione dell’autore: tutti i diritti riservati

 

L’annata ’90/’91 fu uno dei momenti più importanti della mia vita sportiva. Venivo da un periodo molto deludente, che seguiva invece la stagione del 1988, che per un atleta poco più che mediocre come me aveva rappresentato soddisfazioni incredibili.

Ero a Parma e mi trovai, come compagno di allenamento, un atleta incredibile, una forza della natura: Moreno Belletti, giavellottista.

L’altra novità era rappresentata dal fatto che ci saremmo allenati con il programma del “professore”..che in quel momento prendeva in mano gli atleti di interesse nazionale del settore lanci. Quale stimolo migliore per ripartire alla grande?

Premetto che in passato, sotto la guida del professor Valter Rizzi, avevo seguito dei programmi di forza semplicissimi, un lavoro di costruzione di base e poi delle piramidi tronche, che avevano portato le mie prestazioni in sala pesi a livello sicuramente quasi più interessanti di quelle in pedana. Ma si sa, è storia, che ero una maniaco della ghisa. Si faceva fatica a trovarmi fuori dalla tana, era strano incrociarmi in palestra senza un bilanciere in mano. Ci ero proprio portato e mi piaceva. Non facevo fatica, o meglio, godevo nel far fatica col ferro.

Dei programmi di Arbeit avevamo vissuto un assaggio proverbiale in occasione dei raduni che i ragazzi della DDR facevano a Tirrenia per giovarsi del nostro clima più mite, negli anni precedenti. Ebbi la fortuna, tesserato per il gruppo sportivo esercito, di essere presente ad un paio di questi preziosi eventi.

Osservando gli allenamenti dal vivo di quello che allora era il gotha dei lanci internazionale, mi resi conto di tre cose sostanziali: di piantarla di fare il bulletto perché contavo come il due di coppe quando la briscola era a bastoni, che era ingiusto ridurre i successi di alcuni atleti ad una molto riduttiva assimilazione al doping, al fatto che ottenessero dei risultati sostanzialmente perché erano ragazzi disposti a farsi un mazzo cosmico pur di arrivare…..ah, ecco, una quarta: stavano in pedana delle ore, con un monte lanci pazzesco, e un livello di concentrazione, di intensità e di costanza di rendimento che mi fece praticamente paura.

Non sto a raccontare dei parametri e dei massimali, è una cosa che ormai non faccio volentieri. Sembrano inverosimili e in troppi li collegano e riducono alla mera farmacologia. Dico solo che presi paura anche in sala pesi, il mio regno. E io ero già un bel torello.

Poi, provando di persona, capii…


Foto per gentile concessione dell’autore: tutti i diritti riservati

 

Torniamo a Parma, autunno del 1990…

E’ abitudine iniziare le preparazione atletiche, non mondo dell’atletica leggera italiana, nel giorno di S. Martino…quell’anno anticipammo di brutto.

Io non vedevo l’ora di anticipare la stagione per togliermi qualche sassolino dalle scarpe (sassolino…certi serci…), Moreno era un giovane virgulto in attesa di consacrazione, ma la realtà più semplice era questa: non vedevamo l’ora di giocare coi nostri nuovi giochini, cioè i programmi del professore.

L’impatto fu brutale, devastante, salivano i conati solo a leggere, conati che io confermai molto presto sul campo, anche perché io ero una di quelle teste di cazzo che piuttosto che mollare una ripetizione o uno sprint ero disposto a buttare l’anima. Ecco, in quell’autunno vomitai molto spesso.

La giostra era all’incirca questa, riassumo sui punti salienti:

la giornata partiva sempre con un lavoro orgnanico blando, 20/30 minuti di corsa lenta.

Uno dice, ma a un lanciatore che serve? A me personalmente, serviva per rimettermi in moto dal giorno prima…senza sembravo pinocchio con un attacco di labirintite.

1 h di ginnastica articolare, quella che adesso chiamiamo “Mobility”.

Idem come sopra, non ridete, ma in quel periodo ero un piccolo ginnasta, facevo la spaccata, ma utilizzavo questi lavori come warm up prolungato, godevo proprio, per me erano vitali. Non ci soffermavamo tanto sullo stretching, quanto sulla mobilità a terra, alle sbarre, col bastone.

3 volte la settimana: sprint con traino 6 x 30/ 60 mt; traini che andavano dal 10 al 100 % del body weight. Recupero ampio.

In alternanza, le altre due sedute del mattino:

lavoro lattacido in pista: tipo 5 x 100 mt, 2 x 200, 1 x 400...a volte questo lavoro, non ricordo bene quando, veniva sostituito da un test di Cooper. Si narra che un campione del tempo, vincitore delle olimpiadi nel 1984 nel getto del peso, a Tirrenia, io non c’ero, ma mi fu raccontato da amici molto affidabili, interruppe il Cooper per rincorrere fisicamente il Prof, e ci vollero in cinque per evitare che riuscisse a spiegargli molto affettuosamente le ragioni della sua ritrosia verso quel genere di esercitazioni.

Pausa pranzo

Lanci e tecnica di lancio,sedute tecniche interminabili, spesso 80/100 lanci (ve lo assicuro, dal punto di vista neurale erano come una mezza maratona).

Tutti i giorni, con varie tipologie di attrezzi, lanciavamo di tutto, oltre le bestemmie. Dischi, barre, pesi, pesetti, manubrietti, damigiane…tutto. In DDR facevano tecnica anche coi cuscini in corridoio, prima di andare a dormire. Li ho visti io.

Mettetevi seduti: la Forza, 3 sedute la settimana:

  • mesocicli strutturati a  4/1, cioè 4 settimane intense e una di scarico.
  • 3 esercizi:, powersnatch, Squat (deep), bench press, nell’ordine, per servirvi.

Dice…embè?…..

Embèèè?

Primo mesociclo: 60% 10 x 5 serie

Secondo mesociclo: 50% 10 x 10 serie

Terzo mesociclo:  60% e oltre 15 x 10 serie

carichi che permettessero un esecuzione perfetta e sovrapponibile dalla prima all’ultima ripetizione. (cosa a cui non facevamo sempre fede perché ogni tanto, spesso di lunedì, il testosterone prendeva il sopravvento sul granum salis e veniva fuori la voglia di strafare tipica del palestroide che gioca a chi ce l’ha più lungo: in una di queste occasioni riuscii a staccarmi una porzione dell’inserzione periostale del sartorio. Un vero momento di genialità. Una meraviglia della scienza e della tecnica ortopedica. L’ecografista, il mitico Dott. Tosi, non credeva ai suoi occhi.

Forza speciale: in alternanza alla forza, 2 volte la settimana:

circuito da 150 ripetizioni, con carichi leggeri, bilanciere vuoto o piastre: dieci esercizi diversi, coordinati e sinergici, come affondo laterale più bicipiti, affondo sagittale più torsione, calf più tricipiti in french (in piedi) analitici delle alzate olimpiche tipo snatch balance, split snatch, back jerk, etc (allora non sapevo si chiamassero così) dove ogni esercizio era svolto con serie praticamente senza carico da 15 o 20 ripetizioni l’una.

Possibilmente senza soste, un vero WOD di CrossFit.

Dopo questi tre mesocicli di costruzione, venivano abbandonati i lavori lattacidi di ripetute in pista (test di Cooper compreso, per buona pace di tutti), gli sprint con i traini venivano velocizzati, la tecnica si spostava verso l’utilizzo dell’attrezzo da gara con peso regolare, la ginnastica veniva mantenuta.

Forza seconda fase:

Mesociclo piramidi ampie 12\10\8\6\8\10\12 con un carico percentuale del 60% per la prima serie, il 65% per la seconda e a seguire, aumentando il carico a seconda del feedback dato dalle serie.

Poi sempre più stretta 10\8\6\4\6\8\10 e ancora 8\6\4\2\4\6\8 dove la serie da 2 ripetizione dovrebbe prestarsi ad un carico vicino al 90% del massimale.

Massima velocità di esecuzione, perfezione e costanza tecnica, capacità di gestione del carico erano i soliti target.

La forza speciale diventava una lavoro organico di 200 ripetizione stavolta, ma non compiuto a circuito, quanto in dieci stazioni di 20 ripetizioni per ogni esercizio, con recuperi pressoché completi tra le stazioni

Per ricostruire questa fase mi sono visto costretto a richiamare due miei vecchi amici, perché il mio ricordo era molto offuscato, Moreno, appunto, e uno dei più grandi discoboli italiani di sempre, sicuramente il più costante e longevo, Diego Fortuna, che pazientemente si sono prestati alla ricerca del vecchio cartaceo e alla ricostruzione di quel periodo. Non ricordavo l’ultima parte perché dovetti smettere, la preparazione invernale mi tritò completamente. Finii a pezzi, il giorno dopo di una bellissima gara a Bologna, il mio canto del cigno. Facendo mobilità con dei passaggi ostacoli mi si stacco l’apice del tendine sotto rotuleo. Gioco, partita incontro, la voglia, la determinazione e la testa avevano superato di gran lunga la mia sopportazione fisica.

Per onestà intellettuale, però, devo riconoscere che la foga, giovane età e la voglia di arrivare, per non parlare dell’agonismo che si evince allenando con un campione come partner, devo dire che spesso, negli allenamenti, i carichi utilizzati superavano quelli indicati!

La realtà è che sopravvissero a quell’allenamento sostanzialmente i campioni. Che erano tali anche perché capaci di sopportare, metabolizzare e sublimare certi carichi di lavoro. Fu una specie di selezione naturale, che mise in ordine le reali gerarchie del talento messe in campo.

Altra considerazione, in positivo, dopo le prime settimane di smarrimento, avevo raggiunto un livello di condizione mai visto prima. Avevo messo su una fisicata, rocciosa e armonica, senza fare un esercizio analitico di pesi che fosse uno, da fare invidia ad un body builder di alto livello. Potevo mangiarmi questo mondo e quell’altro senza mettere su un chilo (ahimè) e un mm di plica. Avevo una lucidità, durante le sedute di tecnica che avrebbe fatto invidia ad un pilota di caccia. E la forza saliva, saliva eccome. Ogni tanto, durante i nostri fuoriprogramma sconsiderati, ci davamo qualche botta di singola. Non vi dico i parametri per pudore e per non dare adito a sterili polemiche, ma avrei potuto gareggiare senza sfigurare sia nel PL che nel WL. Pur non lavorando sui max effort la forza veniva saliva alla grande.

E poi controllo. Capacità di controllo motorio di un monaco Shaolin. La multifrequenza delle esercitazioni e la ripetitività dei gesti ci dava una capacità pazzesca di gestione vestibolare.

Negli anni da allenatore ho fatto scelte diverse, ho trovato delle soluzioni meno impegnative, più semplici, con dei volumi più umani…ma ho sempre tenuto in considerazione quel modello metodologico. Gli HSC (high sinergy circuit) che ho utilizzato nelle preparazioni dei marzialisti e di diverse squadre di serie A di sport situazionali, venivano da quell’esperienza, così come la scelta di differenziare le somministrazioni di forza su pochi esercizi (3/4)..alternati a esercitazioni più complesse dal punto di vista motorio in modalità veloce con carichi più leggeri.

Per ultimo, in barba a tutte le sterili polemiche, sono convinto che i successi di certe scuole, epocali, nello sport, siano dovuti al fatto di poter attingere a gruppi di individui “intelligenti” dal punto di vista motorio perché vantano un back ground giovanile che andasse al di là della partitella di pallone a scuola e della bibita e patatine sul divano di casa.  Atleti anche disposti, nel contempo, a farsi un mazzo come una capanna senza ragliare inutilmente e chiamare il telefono azzurro ogni qual volta gli si chieda impegno e dedizione.”

* * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * *

Vorrei aggiungere a questo splendido ricordo di Antonio una considerazione che mi ha passato lo stesso Gardelli:

Lui dava una spiegazione a tutto questo volume di lavoro: capacità di gestione dei target impostati. Ripetitività maniacale del gesto, alla fine di ritrovare le stesse qualità nel gesto tecnico specifico, che veniva concepito allo stesso modo. Sedute di tecnica in modalità variabile dell’attrezzo, per mantenere altissimi livelli di tecnicità nel numero più elevato possibile di lanci’ e aggiungo io, la particolarità è che Arbeit costruisce questa esperienza cinestetica e capacità di attivazione lavorando sulle alte ripetizioni nella serie e non sull’alto volume sviluppato in poche ripetizioni e più serie.”

Come postilla posso dire che ho visto seminari di Arbeit in cui venivano proposte a seguito di queste fasi di altissimo volume metodologie piramidali. Ve ne porto alcuni esempi.

70% 7, 80% 5, 85% 4, 90% 3, 95% 2, 97% 1, 75% 2 x 2, oppure

80% 4 x 4, 85% 3 x 3, 90% 2 x 2, 95% 1

Lo stesso Antonio mi disse che in fase competitiva, come mantenimento della forza generata si passava ad un piramidale con serie morbide di avvicinamento ed un 3 x 3 finale con carichi molto importanti, testualmente: al fulmicotone.

Poi, non so se ci siete ancora arrivati: da dove cacchio pensate che lo abbia preso Poliquin il German Volume Training?

Solo che lui lo faceva fare su 1 muscolo a settimana e con diecimila complementari fumosi. Qua si fa strappo (non oso immaginare il fiatone a fare 12 ripetizioni di strappo in piedi) squat e panca piana. Tre volte a settimana, altra musica.

Un’ultima cosa credo debba essere presa in considerazione da tutti noi: Antonio ha detto due cose incredibilmente importanti:

a)  al di là di ogni considerazione, ha ammesso che essendo giovane e ambizioso e ovviamente senza l’autorità di Arbeit che lo avesse seguito seduta dopo seduta,  ha esagerato con i carichi e ha avuto voglia di strafare. Spesso bocciamo come “impossibili per i natural” un serie di programmi solo perché non li abbiamo provati o perché abbiamo usato parametri davvero irrealistici.  La moderazione, quando si parla di volume, diventa davvero fondamentale.

b) Antonio ha detto che a parte gli infortuni subiti, in quel periodo si sentiva informa come un missile. Questa cosa potrei quasi dire che l’abbiamo imparato anche guardando al Crossfit (da un certo punto di vista) perché essere in forma, in senso generale, in senso di condizione assoluta è un parametro che chi fa pesi e forza spesso sottovaluta. Questi qua correvano per mezz’ora la mattina, facevano scatti e allunghi, lavoro lattacido in pista. Malgrado il gesto tecnico avesse una durata di molto inferiore a quello di una distensione su panca.

Meditiamo gente, meditiamo.

Un altro piccolo capitolo nel grande libro della conoscenza dell’allenamento.


KANDINSKY, PIERO MANZONI E LA “MERDA D’ARTISTA”

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a cura di Ado Gruzza

Dopo l’articolo uscito martedì su questo sito, riguardante l’esperienza atletica di Antonio Gardelli, sotto la supervisione del direttore tecnico dei lanci della ex Germania dell’Est, sono uscite parecchie domande.

Questo l’articolo in questione: IL PROFESSOR ARBEIT: I MECCANICI FERRARI E CHI TRUCCA GLI SCOOTER IN GARAGE 2

Domande: qualcuna decisamente interessante; qualcun’altra, come sempre accade, banale e qualcuna che potrebbe sembrare banale, però, a pensarci bene, non lo è.

Ecco vorrei parlare di questo, di questo e di Kandinsky, se me lo concedete.

Kandinsky non è il nuovo allenatore della squadra polacca di powerlifting, per chi ne avesse il dubbio.

Negli anni sessanta (non controllo le date su Wikipedia perché conta il concetto) un giovanissimo artista, artista di quella che chiamiamo Arte Moderna, prese le scene con un opera davvero provocatoria.

Era il tempo di Fontana, quello che tagliava le tele, e l’arte aveva preso un piega estremamente intellettualistica e puramente concettuale.

Questo giovanissimo milanese, diretto parente di Alessandro Manzoni, Piero Manzoni, ebbe un’idea travolgente. Sigillò le proprie feci in 90 barattoli (tipo quelli del tonno) ognuno del peso di 30 grammi. Titolo: “Merda d’artista”.

Per completare l’opera geniale, li mise in vendita all’esatto prezzo dell’oro determinato dal mercato dell’epoca.

Ovviamente, successo clamoroso, scandalo. Perbenisti increduli, appassionati affascinati dalla mossa geniale.

C’è chi pensa che sia stata tutta una farsa, c’è chi, secondo me con un po’ più di senno, pensa che l’atto provocatorio fosse arte in se stesso ed in quanto tale. Che il significato dell’opera sia stato insito nel suo essere così “assurda” e anticonformista, per l’epoca.

Di fatto il mercato ha dato ampiamente ragione a Manzoni. Oggi, i novanta pezzi di “Merda d’artista” valgono molto, ma molto di più della quotazione (attuale) dell’oro.

Tutto questo per dirvi cosa? Beh, Piero Manzoni era già un artista quotato e di successo quando ebbe quella trovata. L’avesse fatta un passante, sarebbe stato nient’altro che un gesto goliardico. E dico pure giustamente.

Spesso ci fidiamo troppo di quello che capiamo. Guardate un quadro di Kandinsky. Sembra che lo possa fare chiunque in ogni momento.
Benissimo, perché non lo fate, allora. Perché i Kandinsky si riconoscono lontano 1 chilometro. Fatelo pure voi, no? Non uguale, quello sarebbe una copia. Se sono tutte stronzate, se la quotazione di un artista è una balla, inventatevi una trovata che faccia parlare tutto il Jet Set newyorkese e vi frutti milioni di euro in vent’anni. Oppure fate un quadro che sia apprezzato e riconosciuto dalla maggioranza degli studiosi mondiale.

Ovvio che non è semplice, anzi.
Per questo la quotazione di un artista ha un senso, così come ha senso, nel nostro mondo, la quotazione di un tecnico.
La quotazione essenzialmente è il “credito” che un soggetto ha acquisito sul campo.

Dall’articolo scritto a due mani con Gardelli sono emerse metodologie usate dalla nazionale comunista tedesca, in cui Arbeit proponeva piramidali lunghi, tipo 12,10,8,6 eccetera.

Questa roba dovrebbe essere ormai assodato, essere superata e inefficace. Certo, siamo stati noi tra i primi a sottolineare la necessità di un approccio diverso.

Se me li fa il sedicente Strength Trainer di turno, lo “fanculizzo” in 0,3 secondi netti.
Però Arbeit non è il pallonaro che si presenta come Strength Trainer e poi fa il Personal ad Ostia d’estate. Arbeit ha allenato alcuni dei migliori lanciatore di tutti i tempi. Si è confrontato con esperti e specialisti di ogni dove.

Questo è uno dei motivi per cui occorre dare credito a certe opinioni.

Però non basta il credito. Occorre anche che il metodo proposto, a naso, rimandi a qualcosa di buono. Perché di preparatori atletici di buon livello che hanno fatto delle cagate assurde ce ne sono a pacchi.

Perché il piramidale del Professor Arbeit è da considerarsi una esperienza più interessante, del piramidale classico 12,10,8,6 del palestrataccio medio?

Svisceriamo la cosa punto per punto.

UNO – Il contesto denota una complessità di fondo molto più interessante. Arbeit per tre mesi (dico tre mesi) propone un lavoro alternato a carico fisso che fa dal 10 x 5 serie ad un impossibile 15 x 10 serie.

Ho visto un suo seminario in cui parlava di un 15 x 5 serie, e si trovano in giro protocolli per la parte alte in cui si alternano: distensioni con manubri inclinato, piano, declinato e molto declinato a 10 x 5 serie, entrambi una volta a settimana.

Costui cerca di creare una base di lavoro pazzesca. Costruire una rapporto con quell’esercizio tale da rendere l’atleta condizionatissimo al gesto.
Non si affida alle mere ricerche scientifiche fatte in laboratorio, che porterebbero (spesso erroneamente, molto spesso erroneamente) portare a protocolli molto più asettici, del tipo: cosa sviluppa le fibre bianche? Cosa mima il gesto e il tempo di gara, e amenità del genere.
Leggendo il programma nella sua completezza, chiaro è che Arbeit ha una idea in testa, e questa idea è complessa. Non è semplice, non è, come dice l’amico Buccioni parlando criticamente di alcuni programmini (ini, ini…) alla moda, eccessivamente geometrica.
Cioè ha una schematizzazione estremamente semplice, che porta per magia ad un risultato predefinito. Tipo i programmi su cui un autore a cui viene una idea, campa una vita, scrivendo un libro su un piano di lavoro al quale basterebbero 3 righe per definirlo.

Quindi si arriva ai piramidali lunghi (che ripeto, sarebbero il peggio del peggio, in teoria) dopo aver fatto un lunghissimo svezzamento a carico fisso, un disumano accumulo di lavoro.

DUE - La scelta del carico. Il palestrato, senza saper ne leggere ne scrivere, userà più o meno questo approccio:

> 12 x 70%
> 10 x 73% eccetera.

Arbeit invece propone un buffer molto ampio quando si usano tante ripetizioni. Buffer che diminuisci drasticamente quando il lavoro diventa espressamente neurale.

Questo è un altro indice di complessità.

Se le 10 e le 12 ripetizioni sono affrontate al 60% del carico massimale, abbiamo un buffer che è quasi del 50% ripetizione più, ripetizione meno. Che non è poi tanto lontano dal buffer di Prilepiniana memoria. Solo quando la piramide si stringe, a si passa ai lavori neurali, questo autore fa tirare il collo alla gallina. Anche se non lo sposo in prima persona, questo approccio mi sembra quanto meno interessante.

Quindi è questione di colpo d’occhio, vedete qualcosa che sembra buono e cercate di studiarlo.
Ho visto tanti programmi pensati per lanciatori. Non tutti mi sembravano buoni, questo si.

Anche le pianificazioni di Egger, hanno qualcosa di ottimamente strutturato, anche se credo che lavorino troppo sul muscolo e poco sul movimento. Se a qualcuno interessa, ne parleremo magari in qualche prossimo articolo.

TRE – Perché questo programma non “sfanculi”, secondo il mio modesto parere, occorre mantenere lo spread tra il primo carico usato e l’ultimo, il più corto possibile.

Intendo dire che, come ho sentito osservare da Poliquin in diversi contesti, in un lavoro simil piramidale, la distanza tra la prima serie allenante e l’ultima dovrebbe restare entro il 10 o 12% e non oltre.

Quindi:se fate la prima serie al 60% l’ultima non dovrebbe eccedere di molto il 70% e questo ad evitare una forte confusione di stimoli all’interno del corpo umano.

Tornando al palestrato medio, anche se per un invito esterno partisse al 60% senza dubbio, con la serie da 5 o 6 ripetizioni, terminerebbe attorno all’80% e oltre, con uno spread del 20%, che di fatto è davvero troppo.

Piramidali? Allenamento Vintage? Proviamo, però conteniamo il lavoro in:

a) carichi % adeguati;

b) siamo ben sicuri di avere la giusta preparazione;

c)  manteniamo un spread breve tra la prima e l’ultima serie.

Insomma, anche se un allenamento sembra “di merda”, se è d’autore, merita una considerazione.

Se un grandissimo della pesistica notassi facesse cose molto poco convenzionali, il primo istinto sarebbe capire perché le fa. Ultimamente leggevo un autore che proponeva il cedimento nei pesisti olimpici. Sembrerebbe niente di peggio. Se lo dice un “palestroide” lo configgereste. Vero?
Visto che costui ha allenato ad altissimo livello, vale la pena chiedersi, cosa c’è dietro?

Attenzione però: essere “autore” non significa essere famoso.
Se un quadro lo fa Bonolis o la Minetti, non vale “una sega”. Fidatevi dal solido e incorruttibile curriculum dato dai risultati. Ovviamente le medaglie olimpiche valgono solo se il tecnico era il primo tecnico dello sport specifico. Se avete provato la pressione due volte a Mike Tyson, non avete molto a che fare con il suo successo. Arbeit era il capo. Decideva lui, tutto. Non era un consulente.

Poi, una volta che si è capito il perché, si è provato, si è lavorato ed elaborato, fatto provare a più soggetti, allora si possono trarre conclusioni.

Perché la “Merda d’artista”, merita credito.

JOINT MOBILITY FOR POWER LIFTERS: DALLA TEORIA ALLA PRATICA 1

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di Daniele Baioletti

Riassumo brevemente la premessa di questa serie articoli; chi lo desidera può leggere il preambolo per esteso al seguente te link:

JOINT MOBILITY FOR POWER LIFTERS: COME INCREMENTARE LE PERFORMANCES CON UNA MIGLIORE MOBILITÀ ARTICOLARE

Questa sorta di “diario di allenamento”, nasce circa 3 mesi fa: mi venne in mente di lanciare, d’intesa con l’Accademia Italiana della Forza, un ciclo di eventi didattici sulla mobilità articolare; ideai così un percorso divulgativo nel quale sviluppare e proporre al pubblico l’importanza delle mobilizzazioni.

Punto di partenza: selezionare un atleta di PL di livello medio/alto; Antonio Contenta (86kg per 23 anni di età), serio studente di farmacia, dai buoni risultati in pedana FIPL. PR: Squat – 245 Kg, Panca – 200 Kg e Stacco da terra – 230 Kg.

Obiettivo dello studio: sottoporre il soggetto selezionato a test kinesiologici ed antropometrici all’inizio di questo “viaggio” a due e vedere se e come essi varieranno nel tempo.

All’intervista conoscitiva iniziale Antonio avverte dolori alle spalle (zona anteriore di entrambe) su parecchi dei movimenti, ed ai gomiti (di tipo invalidante, tanto che, tempo fa, gli impedivano quasi tutti gli esercizi di spinta) a livello dei brachioradiali, sempre bilateralmente; al ginocchio dx, in alcuni test.

Per la parte di kinesiologia, su un totale di 116 test manuali per i principali muscoli del corpo umano, ne trovo ben 47 deboli.”

Antonio Contenta esegue i test pre-esercizi del suo protocollo di allenamento

Al momento in cui scrivo, sabato 6 luglio, Antonio si è fresco reduce da un incontro con il mio stimato collega ed amico Daniele Pinto: grazie alla sua preziosa collaborazione abbiamo avuto modo di constatare se l’atleta stesse eseguendo gli esercizi nella maniera prescritta e procedere all’insegnamento dei successivi movimenti di mobilità.

Nella mia prima visita, a seguito dell’anamnesi introduttiva, ho optato per inserire da subito esercizi per caviglie e parte bassa della schiena: un totale di 9 esercizi che hanno impegnato Antonio per poco tempo, garantendogli però una buona compliance. In parole povere: se gli avessi somministrato 20 esercizi diversi non ne avrebbe probabilmente eseguito correttamente neanche uno e/o non se li avrebbe esattamente ricordati.

Dati i fastidi pregressi che avvertiva nelle recenti sedute di allenamento ci siamo concentrati su un programma di maggiore mobilizzazione della parte superiore del corpo (torace, collo, e mani/polsi); i drills per le mani sono risultati particolarmente complessi ed il collega Daniele Pinto si è visto costretto a “spacchettarle” il protocollo, per renderlo più semplici. Tuttavia la tensione e la concentrazione necessarie ad Antonio per eseguire gli esercizi lo hanno portato in regressione in alcuni dei test di valutazione.

Decidiamo comunque, di comune accordo, di portarli avanti in quanto riteniamo fondamentale che Antonio debba apprenderli a causa degli enormi stress a cui queste articolazioni sono sottoposte durante le 3 lifts (Squat, Panca Piana e Stacco da Terra).

Ci siamo inoltre visti costretti a dover momentaneamente accantonare uno dei movimenti prescelti in quanto continuava a creare fastidi al soggetto testato (non è tutto oro quello che luccica…), riservandoci di inserirlo in un secondo momento.

Daniele Pinto, nel corso della seduta di controllo, ha inoltre notato che: Il soggetto dimentica sempre di respirare durante i drill”; a questo proposito lo abbiamo introdotto al concetto di balanced relaxation/tension.

Appena tornato a casa il collega Daniele mi ha scritto un resoconto dell’incontro con Antonio che, a seguito di un nostro contatto telefonico diretto, ha ricevuto il suo nuovo programma, pur lamentando una discreta difficoltà in alcuni esercizi.

La sera stessa, dopo il secondo allenamento di mobilità articolare, Antonio mi scrive:

“Il lavoro sulla mobilità prosegue e cerco di fare il punto su questa prima fase di lavoro intrapresa con te: ti ringrazio da subito per la tua grande professionalità, pazienza, cura e tempo che stai dedicando a questo progetto e da cui io sto traendo chiari benefici.

Gli esercizi dello step 1 sono ormai assodati e inizio a poter limare qualche dettaglio per migliorarne la resa; tutto questo grazie anche al prezioso aiuto del tuo collega Daniele Pinto, validissimo pt romano che sabato mi ha seguito su tue indicazioni per oltre un’ora e mezza, controllando i movimenti già utilizzati ee introducendomi a quelli dello step 2.

La frequenza che sto tenendo è di 2/3 volte al giorno nei giorni on e almeno una nei giorni off: la routine intera dura, ad esagerare, 7/8 minuti.

I test di mobilità della colonna che cambiano in maniera evidente dopo i lavori specialistici sulla caviglia non sono “stregoneria”; per mia natura sono tendenzialmente diffidente nell’ambito dell’allenamento o comunque non di facile entusiasmi: devo ammettere però che questi lavori di mobilizzazione mi stanno fortemente convincendo perché, oltre a percepirlo, il miglioramento della perfomance è tangibile: range di movimento più ampi, rigidità inferiori e propriocezione migliorata sono tutte cose ben evidenti.

Riporto un episodio interessante: queste ultime tre settimane, per motivi di lavoro, ho avuto meno tempo e ho saltato spesso lo stretching ma ho tenuto inalterato il lavoro sulla mobilità; ebbene il range dei soliti esercizi del protocollo di  allenamento è aumentato anche senza eseguirli. Inoltre in alcuni particolari esercizi avevo bisogno di assistenza per raggiungere certe ampiezze articolari: ad oggi riesco da solo e la tensione percepita è inferiore; un caso fortuito?… Io non credo!

Riguardo la mobilità articolare mi ero sempre limitato a fare dello stretching ed esercizi assimilabili senza essere un esperto, come per la maggior parte dei praticanti in palestra; Daniele, oggi ammetto che non posso nascondermi dietro un dito: se i dettagli fanno la differenza, nel powerlifting non posso pretendere risultati con del semplice stretching fatto per “praticoneria” o “sentito dire”. Sarebbe come affermare che per crescere come atleta nel powerlifting è sufficiente seguire la teoria del “magna e spigni” (perdona il dialettalismo romanesco!) o qualche progressione lineare “old style” a oltranza; fa sorridere come idea no?…

Un lavoro serio sulla mobilità articolare porta con se una pacchetto di vantaggi a livello motorio che credo ci metta in condizione di non trattare l’argomento con troppo semplicismo:, se per migliorare le nostre alzate curiamo propriocezione, assetto, incastro, posizione di questo o quel particolare, non possiamo pensare di gestire il nostro equilibrio in modo maccheronico. Questa era un’idea che già avevo, ma che questo tipo di lavoro mi sta rafforzando: l’equilibrio del corpo, inteso come armonia, non è cosa da “Novella 2000” e non si può nè sottovalutare né, addirittura, ignorare.

Teo Kirksman, al seminario sul metodo cinese di Roma dello scorso maggio, ha sottolineato che: l’Equilibrio è una delle 4 mura della “fortezza”; le altre 3 mura sono: Forza, Potenza e Abilità. Io mi permetto di aggiungere: non intendeva “Dateci dentro con queste 3 e poi, se rimane tempo, curate l’Equilibrio” ma “Considerate questo aspetto alla pari degli altri”; le mura vanno costruite contestualmente.

Citando un motto anglosassone: per essere politycally correct  “a chain is only as strong as its weakest link”.

Penso che le parole di Antonio siano sufficienti eloquenti: non aggiungo altro.

Vi rimando a tra un mese circa, con gli aggiornamenti sui progressi di Antonio.

Stay tuned!

Tutte le foto per gentile concessione dell’autore: tutti i diritti riservati.

 

Note sull’autore

Daniele Baioletti

Movement Coach;
Dott. in Scienze Motorie e Sportive;
P.I.C.P. level 2;
Biosignature & P.I.M.S.T. practictionner;
R-Phase, I-Phase & T-Phase pratictionner;
Docente, Istruttore e Personal Trainer 4° livello F.I.P.E.;
Istruttore F.I.P.L.;
Operatore Fitness metabolico;
Tecnico Rianimatore certificato.

Per ulteriore info e contatti: www.danielebaioletti.com

AUTOREGOLAZIONE: UN CONCETTO SEMPLICE PER RISULTATI AVANZATI

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a cura di Fabio Prescimone

 

PRESUPPOSTI LOGICI

Come sanno bene tutti coloro che hanno un minimo di esperienza nell’allenamento, il rendimento fisico non è costante: ci sono giorni in cui siamo “in forma” e altri in cui le nostre performances accusano un calo. Questo succede perché lo stato di forma fisica è determinato dalla reazione del corpo agli stimoli esterni (in gergo stressors) e siccome questi stimoli non sono costanti, anche lo stato del nostro fisico non lo è.

Sono sicuro che nel leggere il paragrafo precedente, più di un lettore ha associato il termine stressor (e forse addirittura l’intero concetto di “stimolo esterno”) all’allenamento, soprattutto a quello con i pesi.

L’allenamento però non è l’unico stressor nella vostra vita, anzi, molto probabilmente non è neanche il più influente, a meno che non siate un atleta professionista, una persona, cioè, che al centro della sua giornata ha il lavoro sul proprio corpo, è sottoposto regolarmente a visite mediche, ha una dieta calibrata su misura, riposa quando deve riposare, si allena quando deve allenarsi, etc… Magari è una visione un po’ utopistica, alla Ivan Drago in Rocky IV, ma è un’immagine mentale utile per capire il discorso che segue, quindi concedetemela, anche se pecca di ingenuità.

Paragoniamo adesso questa situazione con quella (molto più realistica) di una persona normale, anche un atleta amatore o dilettante di alto livello: mangia compatibilmente con gli altri impegni (lavoro, famiglia, figli, svago, imprevisti vari), riposa quando e quanto può e arriva in palestra portandosi addosso il peso di tutta una vita che, contrariamente a quella del professionista, non è ottimizzata verso il raggiungimento della massima performance sportiva. E’ ovvio che in questo caso la resa in allenamento sarà molto più altalenante.

Lo stesso concetto vale per atleti (professionisti e non) che usano i pesi come ausilio nella preparazione fisica: l’allenamento specifico e la stagione agonistica influenzano l’attività in palestra, che deve essere calibrata in modo da non interferire negativamente con la disciplina principale.

In parole povere, passato un certo stadio (che definirei principiante, senza dare nessun valore dispregiativo al termine) è difficile calibrare in anticipo l’allenamento, perché ci saranno giorni e giorni decisamente no.

Ecco che ci viene in aiuto il concetto di autoregolazione: è un modo (anzi, tanti modi, come vedrete) di adattare in tempo reale l’allenamento allo stato di forma del soggetto, permettendogli di spingere forte quando sta bene e di diminuire la mole di lavoro quando non si è in forma.

Ora, questo principio generale potrebbe provocare qualche disorientamento: le persone con un atteggiamento più aggressivo in sala pesi potrebbero prenderlo come un invito ad arrivare sempre al limite, quelli un po’ meno motivati invece come scusa per fare meno del necessario, mentre il principiante un po’ troppo familiare con la lettura di riviste patinate d’oltreoceano magari sta già pensando al famoso “allenamento istintivo” dei bodybuilders professionisti.

Una difficoltà oggettiva è poi quella, riscontrata da chi si allena senza la supervisione di un tecnico o di un training partner più esperto, di giudicare in tempo reale il proprio stato di forma.

Presentiamo quindi degli esempi di allenamento che, nella loro stessa struttura, prevedono quindi un sistema di regolazione del lavoro; le soluzioni adottate differiscono leggermente, ma il principio base è simile.

 

ESEMPI PRATICI

The Power Look

Forget everything you ever heard about pumping and flushing and cramping and the rest of it.

Start with squats. Do a light set to warmup and then jump heavy. Do three reps. Add weight and do three more reps. Keep adding weight for each set until you can’t make three reps. When you bog down add a few more pounds and do a couple of singles at that weight. Don’t count the sets. Do as many as you feel like. Let your energy be the judge on that day.

Do bench presses next. Same way.

Rowing. do five sets of five. Start with your heaviest weight and drop down about ten pounds for each set. Use your legs a bit and pull hard.

The last exercise is progressive pulls. You start with power cleans. Start light and work up. Do three reps each set and when you can’t make three then keep increasing the weight and do high pulls. Keep adding weight and when you can’t make three high pulls start doing deadlifts. Do three reps in the deadlift until you can’t make three. Add more weight and do a couple of singles.

Let your energy be the judge.

L’introduzione è troppo lapidaria per smorzarla con presentazioni varie, ma ora è il caso di spendere qualche parola per contestualizzare il programma. Si tratta di una scheda tratta dal libro The Complete Keys to Progress, che raccoglie gli articoli scritti da John McCallum per “Strength and Health Magazine” dal 1965 al 1972.

Per chi ne avesse bisogno, ecco  la traduzione:

Dimenticate quello che avete sentito sul pompaggio, la “saturazione” [muscolare], i crampi e tutto il resto.

Iniziate con lo squat. Fate una serie leggera per riscaldarvi e poi iniziate a caricare. Fate tre ripetizioni. Aggiungete peso e fate altre tre ripetizioni. Continuate ad aggiungere peso ad ogni serie finché non riuscite a fare tre ripetizioni. Quando sarete arrivati, aggiungete qualche kg e fate un paio di singole a quel peso. Non contate le serie. Fatene quante ve ne sentite. Lasciate che la vostra energia [forza] sia il giudice in quel [determinato] giorno.

Dopo, fate la panca piana. Allo stesso modo.

Rematore [bilanciere]. Fate cinque serie da cinque. Iniziate con il carico più pesante [5RM] e togliete circa 5kg ad ogni serie. Usate un po’ le gambe e tirate forte.

Il prossimo esercizio è la “tirata progressiva”. Iniziate con il power clean [girata in mezza accosciata]. Iniziate con un carico leggero e aumentate. Fate tre ripetizioni per ogni serie e quando non riuscite [più] a farne tre, aumentate il peso e fate high pulls [tirata olimpica]. Continuate ad aggiungere peso, e quando non potete fare tre tirate, iniziate a fare stacchi da terra. Fate tre ripetizioni di stacco [continuando ad aumentare il carico da una serie all’altra] finché non riuscite a farne tre. Aggiungete un po’ di peso e fate un paio di singole.

Lasciate che l’energia sia il giudice.

Come ogni traduzione, anche la mia è un po’ un’interpretazione del testo proposto, ma il procedimento è chiaro: si tratta di un ramping (cioè di un aumento progressivo del carico) in cui il carico massimo non è predeterminato, per cui il giorno in cui si è più in forma si faranno più serie, arrivando a carichi più elevati, mentre nei giorni meno brillanti volume e tonnellaggio saranno ridimensionati. Le frasi sottolineate sono la chiave di volta per capire l’intero procedimento.

Faccio notare come la routine proposta sia molto interessante e ancora attuale, sebbene vada datata verso la fine degli anni ’60 o i primissimi ’70. Personalmente sostituirei il rematore con le trazioni, e porterei a cedimento solo tecnico le triple. L’autore non precisa l’entità degli aumenti di carico da una serie all’altra, e questo lascia un ulteriore margine di personalizzazione: in una prima fase del ciclo di allenamento (accumulo), infatti, è preferibile un volume maggiore, facilmente ottenibile effettuando piccoli incrementi di carico tra una serie e l’altra (dell’ordine del 2.5-3% del massimale), mentre in fasi di intensificazione basterà aumentarne l’entità (5-6%) per diminuire il volume (e quindi permettere di dissipare la fatica accumulata) pur mantenendo una buona confidenza con il carico. L’esperienza, poi, permetterà aggiustamenti più raffinati.

Il breve scritto originale non precisa quante volte a settimana ci si debba allenare, ma altrove lo stesso autore, quando consiglia delle full body, prevede due-tre allenamenti, enfatizzando la necessità di un buon recupero tra una seduta e l’altra.

Sulla falsariga del progressive pull è facilmente immaginabile anche un progressive push, che parta da un lento avanti “strict” (cioè senza nessuna spinta di gambe) e passando per un push press (con spinta di gambe) arrivi al jerk (spinta di gambe + mezza accosciata o sforbiciata per infilarsi sotto al bilanciere).

Oppure, sempre sul lavoro di spinta, è ipotizzabile la sequenza “lento avanti > panca inclinata > panca piana”, che in effetti è contemplata in un programma di Christian Thibaudeau chiamato High Performance Mass. L’ho provata e fatta provare, e contrariamente a quanto si possa pensare, il lavoro precedente non incide molto su quello successivo: con mia grande sorpresa, i carichi raggiunti sulla panca piana non erano di molto inferiori a quelli verosimilmente raggiungibili con un MAV3 di sola panca, tanto per citare un protocollo simile.

The Russian Bear (reloaded)

Se prima abbiamo visto un “nonno” dei programmi ad autoregolazione, adesso vediamo uno “zio”, creatura del russo più occidentalizzato del fitness bussiness, tale Pavel Tsatsoulin, troppo famoso per essere presentato.

Nel suo libro Power to the People, pubblicato nel 2000, dopo aver illustrato il programma omonimo, basato su una progressione lineare, due serie da cinque su press e stacco, Pavel ne presenta una variante volta all’ipertrofia, capace di trasformare il praticante in un vero orso siberiano. Esagerazioni a parte, il protocollo è interessante: dopo il 2×5 (con la seconda serie al 90% della prima), si abbassa ulteriormente il carico di un 10% e si continua con le serie da 5 “fino a che si riescono a fare cinque ripetizioni con l’80%”.

Bene, è già un inizio di autoregolazione, ma si può fare di meglio: anziché infatti basare la serie pesante su una progressione determinata, sia essa lineare o a step o a onda, come specificato nel libro, si potrebbe pensare ad un ramping in serie da 5, fino al cedimento tecnico. In questo modo si ovvierebbe ad una delle critiche più sensate mosse al Russian Bear, cioè l’eccessiva perdita di confidenza con carichi consistenti.

Il back off (cioè le serie più leggere che seguono) va benissimo per com’è impostato nella versione originale: una serie al 90% del carico raggiunto nel ramping e poi un massimo di serie con l’80%, mantenendo i recuperi brevi (un minuto dovrebbe bastare).

Restando fedele all’impostazione minimalista di Pavel, si potrebbe pensare a soli due esercizi a seduta (stacco da terra e lento avanti, o squat e panca), due-tre volte a settimana.

L’importante è finire

Una precisazione sul “cedimento (o deterioramento) tecnico”, punto di arrivo dei protocolli finora presi in esame: si tratta di quel momento in cui il carico e la fatica accumulata rendono impossibile il mantenimento dei capisaldi della tecnica di esecuzione corretta. In pratica, negli esercizi fondamentali:

  • Squat e stacco da terra: il sedere si alza prima delle spalle o si perde la lordosi lombare durante la fase concentrica;
  • Panca: non si riesce a tenere le scapole addotte o la traiettoria del bilanciere non è quella ottimale;
  • Lento avanti: si inarca la schiena per usare il pettorale a sostegno degli altri muscoli affaticati;
  • Trazioni: si chiudono le spalle e si inizia a tirare più di braccia che “di dorso”;

Come si vede, non è il cedimento concentrico tanto usato (e forse anche abusato) nel bodybuilding tradizionale: se non siete sicuri di poter completare una ripetizione con buona tecnica, non iniziatela neanche. Questo non vuol dire non impegnarsi o non sforzarsi, significa impegnarsi e sforzarsi in maniera corretta, cioè pensando prima di tutto alla qualità esecutiva, a tutto vantaggio della stimolazione muscolare e della sicurezza articolare: non dimentichiamo che negli esercizi multiarticolari, i primi a “cedere” sono i muscoli stabilizzatori, non gli agonisti, per cui è del tutto ragionevole interrompere una serie di squat quando i lombari non riescono a tenere la schiena allineata, o una serie di panca quando romboidi e trapezio medio-basso non ce la fanno a tenere le scapole al loro posto e una parte del carico grava sulla cuffia dei rotatori.

 

CONCLUSIONI

Quanto sopra esposto sulla cedimento tecnico rende meglio l’idea sull’entità di lavoro prevista: se infatti pensassimo di dover spingere fino al cedimento vero e proprio i due ramping, il lavoro successivo sarebbe improponibile. Dopo una tripla tirata al limite, infatti, aumentare un po’ il carico e fare un paio di singole sarebbe un’impresa dall’esito aleatorio (per lo meno per chi ha un livello almeno intermedio), e allo stesso modo, serie da 5 con l’80% del 5RM “no pain no gain” e recuperi brevi se ne fanno poche, e quelle poche che si fanno sono anche bruttarelle da vedere.

Se vogliamo ragionare in percentuali di carico, possiamo stimare quindi che la tripla più pesante nel Power Look corrisponderà ad un 5RM (cioè un carico con il quale sarebbe possibile fare al massimo 5 ripetizioni prima di crollare sotto il bilanciere), e questo spiega come sia possibile (e anche proficuo) fare un paio di singole con un carico leggermente maggiore; si tratta in fin dei conti di un 2×1 con il 95% del massimale giornaliero.

Nel Russian Bear si arriverà, bene che vada, ad un 7-8RM, per cui le serie successive saranno “leggere” in senso assoluto (stimiamo un 60-70% sull’1RM ipotetico); da qui il consiglio di mantenere i recuperi brevi ed utilizzare questa fase del protocollo per accumulare fatica, migliorando così la capacità di lavoro e fornendo comunque uno stimolo ipertrofico.

Nella prossima parte dell’articolo analizzeremo alcuni programmi più moderni, che – più o meno direttamente – risentono dell’influenza del metodo bulgaro di Ivan Abadjiev: un ramping proposto da Christian Thibaudeau, una recentissima evoluzione del 5/3/1 di Jim Wendler e un’applicazione pratica del metodo di John Broz al powerlifting.

 

Note sull’autore

Fabio Prescimone, nato a Pisa nel 1975, siciliano di famiglia e cresciuto a Messina. Laureato in lingue straniere, Istruttore di I livello di fitness e bodybuilding MAF Italia (Associazione affiliata al sistema CSEN – Centro Sportivo Educativo Nazionale) e Istruttore FIPL di Powerlifting di 1° e 2° livello. Atleta del team di powerlifting “Joypowerlifting” di Pietrasanta (LU). Autore e amministratore del blog: www.fabiopersonaltrainer.it

 

JOINT MOBILITY FOR POWERLIFTERS: DALLA TEORIA ALLA PRATICA PARTE 2

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EVENTO ESCLUSIVO AIF

“JOINT MOBILITY FOR POWERLIFTERS”

Seminario a cura del Dott. Daniele BAIOLETTI

Domenica 06 OTTOBRE 2013

Virgin Active Milanofiori – Business Park MilanoFiori, Assago (MI)

Leggi il programma completo a fondo pagina!

Clicca sull’immagine per scaricare la locandina in alta risoluzione: stampala ed affiggila nella bacheca del tuo ufficio, della scuola o dell’Università, della palestra o del centro sportivo che frequenti o presso il quale collabori, del tuo studio professionale ed ovunque possa aiutarci a diffondere un approccio scientifico alla formazione in ambito sportivo!


Sono passati poco più di 2 mesi dall’ultimo articolo (
qui il testo completo): io e Antonio ci saremmo dovuti incontrare un po’ di settimane fa ma l’estate, si sa, nasconde insidie…

Ovviamente ci siamo sempre tenuti in contatto ed in costante aggiornamento ed Antonio ha continuato a seguire il protocollo di esercizi assegnatogli; il 19 luglio ci siamo incontrati per fare un upgrade di quanto impostato dal collega Daniele Pinto poche settimane prima.

Ecco cosa mi ha scritto solo qualche giorno fa:

“Nelle ultime 4 settimane ho eseguito un protocollo con più movimenti rispetto alle fasi iniziali mantenendo una frequenza leggermente più rarefatta ma sempre considerando prioritaria la qualità dei movimenti, come su indicazione di Daniele. La mobilità dell’upper-body credo sia migliorata in modo più significativo rispetto alle prime fasi in particolare le spalle; oltre ai test di mobilità, che sono un il parametro intermedio di auto-valutazione in questi lavori, anche il feeling sugli esercizi in cui vengono coinvolte spalle e scapole è in miglioramento, alla panca piana ma non solo.

Durante l’incontro di Perugia ci eravamo detti di insistere su polsi, collo e tronco perché alla lunga ci sarebbero stati guadagni sia in mobilità che per la salute dell’articolazione; inoltre alcuni distretti muscolari, che Daniele nel primo articolo definiva “offline”, ho la sensazione che siano meno “off” rispetto agli inizi, ma per queste valutazioni, e soprattutto per avere dei dati precisi, sarà meglio aspettare il prossimo incontro.”

Per quanto riguarda l’allenamento delle tre powerlift, Antonio ha aggiunge questo:

“Dopo 5 settimane in cui ho dato maggior spazio a Squat e Stacco, ho iniziato un allenamento off-season più specifico per la Panca Raw ad alte ripetizioni: ho iniziato con 144 alzate settimanali al 62,2% di intensità media, per passare poi alle 104 al 69,6% della quarta settimana eseguendo un esercizio su Panca “speciale” (board, elastici o catene), variando l’ampiezza della presa nella seduta di mezzo e tenendo tra le 25 e le 35 ripetizioni allenanti a percentuali più basse. Ho percepito, al contrario di quello che mi aspettavo, meno difficoltà a tenere l’assetto ed anche un irrigidimento quasi assente, anche sotto fatica.”

Interessante questo ultimo commento, che sottolinea l’utilità della DJM per un atleta specialista nell’allenamento della forza.

Con Antonio ci siamo accordati per fissare l’incontro conclusivo di questo nostro comune percorso: in quell’occasione procederò a ripetere tutti i test kinesiologici per vedere come si sia evoluto il suo “quadro neurologico”.

Le previsioni, anche in base ai feedback del nostro atleta, lasciano presagire per il meglio; anche la sua ragazza, che lamentava un problema ad un piede, ha notato notevoli miglioramenti in seguito agli esercizi somministratigli in occasione del primo incontro con Antonio, al quale era presente.

In attesa dell’articolo conclusivo a chiusura di questa serie, ho il piacere di segnalarvi il seminario che terrò domenica 06 ottobre pv presso il Virgin Active Club “Milanofiori” di Assago (Milano), durante il quale illustrerò, passo dopo passo, il programma dettagliato degli esercizi eseguiti da Antonio Contenta, analizzando i feedback che i vari protocolli DJM hanno avuto sui suoi progressi nell’allenamento delle powerlift.

Di seguito tutti i dettagli: vi aspetto numerosi!

 

“JOINT MOBILITY FOR POWERLIFTERS”

Seminario a cura del Dott. Daniele BAIOLETTI

Domenica 06 OTTOBRE 2013

 

Sede del Seminario:

Virgin Active Milanofiori - Business Park MilanoFiori Nord – Viale MilanoFiori, Assago (MI)

Sito dedicato Virgin Active Club Milanofiori: clicca qui

 

Programma del Seminario:

9.00 – 9.30
Accoglienza.

9.30 – 11.00
La mobilità articolare definita: perché farla; le basi neurofisiologiche della DJM: utilizzo del test/retest.

11.00
Coffee break.

11.10 – 13.00
Attività pratica: il “Neural Warm Up” (parte prima).

13.00 – 14.00
Pausa pranzo.

14.00 – 17.00
Attività pratica: il “Neural Warm Up” (parte seconda) e il “Neural Warm Up for Powerlifting”, mobilizzazioni articolari specifiche per i “3 Big” (Squat/Panca/Stacco da terra).

17.00 – 18.00
Tavola rotonda: sessione “Domande & Risposte”.

Il Dott. Daniele Baioletti, nel corso della pausa pranzo e dopo la chiusura dei lavori d’aula, sarà a disposizione dei partecipanti al workshop per consulenze e sedute private individuali.

 

Costo del seminario:

—> euro 120,00 – pagamento a mezzo Bonifico Bancario anticipato alle seguenti coordinate:

CASSA PADANA BCC - Filiale Taneto Di Gattatico
cc intestato a A.S.D. ACCADEMIA ITALIANA DELLA FORZA
IBAN: IT35 B083 4066 3400 0000 0096 860

—> euro 150,00 – pagamento in contanti sul posto

Dopo aver effettuato il versamento inviare via mail:

  1. copia Pdf o Jpg della ricevuta in possesso
  2. dati anagrafici dell’iscritto – Nome e Cognome, Comune di residenza, indirizzo E-mail

al seguente indirizzo: iscrizioni@accademiaitalianaforza.it

Oggetto: “Iscrizione al seminario Joint Mobility – Milano”.

 

Note sull’autore

Daniele Baioletti

Movement Coach;
Dott. in Scienze Motorie e Sportive;
P.I.C.P. level 2;
Biosignature & P.I.M.S.T. practictionner;
R-Phase, I-Phase & T-Phase pratictionner;
Docente, Istruttore e Personal Trainer 4° livello F.I.P.E.;
Istruttore F.I.P.L.;
Operatore Fitness metabolico;
Tecnico Rianimatore certificato.

Per ulteriore info e contatti: www.danielebaioletti.com


AUTOREGOLAZIONE: BULGARIA-USA ANDATA E RITORNO

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a cura di Fabio Prescimone

Nella prima parte dell’articolo (link qui) abbiamo visto in cosa consista il principio dell’autoregolazione del volume e dell’intensità dell’allenamento con i sovraccarichi, e preso in considerazione due esempi pratici, abbastanza diversi tra di loro, di applicazione di tale principio.

Continuiamo adesso con altri esempi, ispirati al metodo del tecnico bulgaro Ivan Abadjev, coach della nazionale di sollevamento pesi con più medaglie olimpiche in rapporto alla popolazione totale del paese. Su Abdjev e il suo metodo molto è stato scritto, in inglese e in italiano (cito solo l’articolo di Alessio Ferlito sul suo blog Leviatano89′s Prudvangar), per cui non mi dilungherò molto, limitandomi a ricordarne i punti salienti:

  • altissima frequenza di allenamento (2-3 volte al giorno, 6-7 giorni a settimana);
  • tre soli esercizi (slancio, strappo e front squat);
  • ricerca costante del massimale.

Questo metodo ha suscitato parecchio scalpore, è stato (ed è tuttora) osannato o ferocemente criticato, ma sta di fatto che i paesi che, dopo la Bulgaria, l’hanno adottato (Grecia, Turchia e Iran) sono diventate di colpo protagoniste nella scena mondiale e olimpionica del weightlifting.

Molti tecnici e allenatori hanno provato ad applicare questo metodo al powerlifting, vediamo qualche esempio.

 

MASSIMALE DI SQUAT OGNI GIORNO – BY JOHN BROZ

John Broz è forse quello più conosciuto, grazie anche ad una serie di interviste e articoli diffusi su internet. Un articolo su di lui, dal titolo “Testa il tuo massimale di squat ogni giorno” è disponibile anche in italiano, sempre sul blog di Ferlito, per cui non entrerò nei dettagli. Per il powerlifting, suggerisce il seguente schema:

  1. squat, panca e qualche complementare per il dorso o i tricipiti;
  2. squat, stacchi da terra e qualche complementare.

Gli allenamenti A e B si alternano di giorno in giorno, iniziando con ALMENO quattro giorni a settimana, per arrivare a  sei quando l’atleta ha migliorato la sua capacità di lavoro.

Per squat e panca consiglia un ramping (prima a triple, poi a doppie e infine a singole) fino al massimale di giornata, dopo il quale fa eseguire qualche serie più leggera con 20-50kg in meno (il “ritorno” a cui si allude nel titolo). Se poi l’atleta si sente bene e i pesi salgono leggeri, si può provare un secondo ramping.

Per lo stacco da terra, invece, il lavoro si limita a doppie o triple con l’80% del massimale, molto dinamiche, stando ben lontani dall’eccessiva fatica.

Qualche perplessità

Si tratta ovviamente di un sistema molto estremo, difficilmente realizzabile da atleti non professionisti e – in tutta onestà – non credo sia neanche molto proficuo per il “sollevatore medio”, perché copia troppo pedissequamente il procedimento del sollevamento pesi, senza tenere in debito conto la differenza nella natura degli esercizi nelle due discipline.

Se infatti i movimenti del sollevamento pesi sono veloci per natura, anche con carichi massimali, quelli del powerlifting possono essere lenti, sofferti…in un parola, nelle powerlifts esiste il grinding, cioè la ripetizione “macinata”, con rallentamenti e vere e proprie battaglie tra l’uomo e la gravità:

Il grinding, oltre a peggiorare la tecnica esecutiva, è molto stressante per il sistema nervoso e – se praticato con regolarità – può aumentare la probabilità di infortuni. Si capisce quindi come un sistema basato sulla ricerca quotidiana del massimale, se applicato con una mentalità estremista, possa rivelarsi controproducente.

Ci viene in aiuto la nozione di “massimale tecnico giornaliero”, ovvero del massimo carico che è possibile sollevare, in quel dato giorno, mantenendo una tecnica esecutiva corretta e una certa fluidità nel movimento. Se invece del massimale “O vittoria o morte” ci si limita al massimale tecnico, infatti, la musica cambia: in fondo, si tratta di imitare le alzate olimpiche, eseguendo quindi solo ripetizioni esplosive, fluide, e fermandosi quando iniziano ad evidenziarsi rallentamenti nella traiettoria del bilanciere.

Il seguente protocollo è molto simile, ma essendo improntato al massimale tecnico mi sembra molto più ragionevole.

 

RAMPING E BACK OFF – BY CHRISTIAN THIBAUDEAU

Ex weightlifter, canadese e allievo di Pierre Roy (allenatore della nazionale canadese di WL), Thibaudeau è uno degli autori più importanti del sito T-Nation, che chiunque si interessa di pesi ha molto probabilmente visitato, anche solo una volta, anche solo per non tornarci più.

Dopo aver seguito le orme di Poliquin nell’impostazione dei programmi “da bodybuilding”, un paio di anni fa ha cambiato decisamente impostazione, tornando (come ha affermato più volte) alle sue radici di pesista, tralasciando le indicazioni minuziose sul TUT e i tempi di recupero per concentrarsi sulla qualità di esecuzione delle ripetizioni (un Leitmotiv dell’autoregolazione).

Coerentemente con questa impostazione, quindi, le sue proposte più recenti si basano praticamente tutte su esercizi multiarticolari (in maggioranza alzate olimpiche, complete o parziali, come tirate dai blocchi) e sulla ricerca di un massimale tecnico, al quale segue un lavoro di back-off più leggero, il tutto con una densità di lavoro elevata, ottenuta tramite recuperi veramente brevi, nell’ordine della trentina di secondi o poco più, se non addirittura di clusters in cui si esegue una ripetizione, si recupera 5-10 secondi, un’altra ripetizione, per 5-6 volte di seguito.

È sua convinzione, infatti, che la densità, insieme all’alta intensità e all’esplosività esecutiva, è indispensabile per lo stimolo ipertrofico.

Tra le tante proposte, eccone una che lui stesso ritiene adatta a squat, panca e stacco:

  • ramping dal 60% fino all’1RM, poi 2 serie x 3 ripetizioni con il 90%;
  • ramping dall’80% fino al 2RM, poi  2×3 con il 90% del 2RM;
  • ramping dall’80% fino al 3RM, poi 1×3 con il 90% del 3RM;
  • 4×3 al 60% con 30 secondi di recupero;

l’80% e il 60% in corsivo di riferiscono all’1RM raggiunto nel primo ramping.

Dai feedback osservati e/o ricevuti dalle “cavie” a cui ho fatto provare questo schema, le serie da 3 al 90% dell’1 e del 2RM sono un po’ troppo impegnative, per cui le ho sostituite rispettivamente con un 3×1 e un 2×2 (alle stesse percentuali).

Per lo stacco da terra, dopo i ramping Thibaudeau consiglia dei cluster al 90%, consistenti in una serie da 3 a 6 ripetizioni, ognuna delle quali intervallata da 5-10 secondi di recupero. Ecco la realizzazione pratica:

  • ramping dal 60% fino all’1RM, poi 2 cluster al 90%;
  • ramping dall’80% fino al 2RM, poi  2 cluster al 90% del 2RM;
  • ramping dall’80% fino al 3RM, poi 1 cluster al 90% del 3RM.

Questo protocollo va usato una volta a settimana per alzata; se si vuole ripetere l’esercizio un’altra volta nel microciclo (opzione non presa in considerazione da Thibaudeau), la scelta più coerente con questa impostazione è quella di fare uno speed work, cioè un richiamo a carico fisso, leggero, con massima attenzione all’esplosività. Un esempio famoso è il DE (Dynamic Effort) del Westside, con un 8-10 serie x 2-3 ripetizioni al 55-65% del massimale.

Sullo svolgimento concreto del ramping, per Thibaudeau l’importante non è fare tante serie, quanto “attivare” il sistema nervoso, per cui gli incrementi di carico non devono essere troppo modesti, altrimenti la fatica penalizza il risultato finale. A seconda del massimale, consiglia di iniziare con intervalli di 10-20kg, per poi dimezzarli quando si arriva al 90% del presunto massimale. Non precisa il numero di ripetizioni, ma di sicuro non più di 3 all’inizio, per poi passare a singole appena l’esecuzione rallenta, il tutto per limitare la fatica. Indicativamente, 10-12 serie dovrebbero bastare per arrivare all’1RM. Questo ovviamente vale per il primo ramping, nei successivi si eseguono le ripetizioni previste (2 o 3) fino all’RM.

Ricordo che i “massimali” da raggiungere (1, 2 o 3RM) vanno intesi come il peso massimo che si riesce ad accelerare con tecnica corretta ed esecuzione esplosiva per il numero di ripetizioni previste; come infatti è impensabile uno slancio “lento”, allo stesso modo non bisogna arrivare al grinding. Questo permette di accumulare lavoro di qualità, stimolare/potenziare il sistema nervoso e migliorare lo schema motorio dell’alzata (il pattern di cui scrive spesso).

Sebbene anche questo protocollo possa sembrare molto oneroso, l’ho fatto provare a varie tipologie di persone, e devo dire che – se non ci si fa prendere la mano con gli RM – è tutt’altro che irrealizzabile. In particolare, ho avuto risultati molto interessanti con un ragazzo dalla vita molto stressante: è un rocciatore del Soccorso Alpino, e tra esercitazioni, notti in caserma e vere e proprie missioni di salvataggio, il recupero fisico e mentale è sempre incerto, per cui non potevamo basarci su un programma troppo rigido. Allo stesso tempo, è uno che “ne vuole”, e quando entra in palestra prova a dare il massimo, sempre.

Dopo avergli fatto giurare che non avrebbe neanche mai provato una ripetizione se non fosse stato sicuro di eseguirla con la dovuta esplosività, gli ho proposto il seguente split:

A: squat

B: panca

C: stacchi da terra

D: lento avanti

In pratica, un esercizio al giorno, aggiungendo qualche complementare a sua scelta. La frequenza era “il più spesso possibile”, e di solito riusciva a farci stare 5-6 allenamenti a settimana.

 

IL “BEYOND 5/3/1″ – BY JIM WENDLER

Continuiamo adesso con un programma abbastanza celebre in rete, il famoso (o famigerato, a seconda dei punti di vista) 5/3/1 di Jim Wendler, ex powerlifter e coach di football, proveniente dalla scuola del Westside Barbell, ma distaccatosi da questa metodologia.

Non è questa la sede per un’analisi dettagliata del programma base (che potete leggere qui) e della filosofia di allenamento che c’è dietro; teniamo solo in considerazione il trattamento riservato agli esercizi principali (squat, panca, stacco da terra e lento avanti). Nella versione originale, erano previste solo tre serie allenanti a settimana, con l’ultima serie portata a cedimento tecnico (“until proper form cannot be mantained”), senza arrivare al punto in cui è impossibile fare un’altra ripetizione (“always leave a rep or two in the tank”). Nello specifico, le percentuali di lavoro sono basate sul Training Max (d’ora in poi TM), che è semplicemente il 90% del massimale reale, testato di recente, in allenamento.

Un avvertimento per i powerlifters: Wendler dice espressamente che non vanno usati i risultati in gara, perché influenzati da molti fattori, tra i quali l’adrenalina e un certo atteggiamento “o la va o la spacca”, difficilmente riproducibili in palestra.

Ecco quindi i carichi di lavoro:

  • settimana 1: 5 ripetizioni al 65%, 5 al 75%, 5 o più con l’85% (del TM);
  • settimana 2: 3 ripetizioni al 70%, 3 all’80% e 3 o più al 90%;
  • settimana 3: 5 ripetizioni al 75%, 3 all’85%, 1 o più al 95%;
  • settimana 4 (scarico): 5×50%, 5×55%, 5×60% .

Dalla quinta settimana si ripete il ciclo, aggiungendo 5kg al TM di squat e stacchi e 2.5 a quello di panca e lento.

Come si vede, si tratta di un’impostazione veramente minimalista, se non scarna, e infatti la critica più ragionevole al programma era proprio la scarsità di volume allenante, palliata (ma solo in parte) con un 5×10 al 50% come “schema di assistenza”.

Già in questa prima versione, però, è presente un’attenzione allo stato di forma dell’atleta: l’ultima serie portata a cedimento tecnico, infatti, permette di spingere un po’ di più nei giorni “sì”, approfittando della buona condizione fisica, mentre nei “less than stellar days” (come li definisce l’autore) sarà sufficiente eseguire il numero minimo previsto di ripetizioni, compito abbastanza facile se consideriamo che si tratta (rispettivamente) di fare 5 ripetizioni con il 76.5%, 3 con l’81% e 1 all’85% del massimale “vero”.

Il primo e-book sul metodo è stato pubblicato nel 2008, e negli anni ci sono state varie riedizioni più o meno significative (5/3/1 for Powerlifting, 5/3/1 for Football, 5/3/1 Second Edition), ma l’ultima in ordine cronologico (Beyond 5/3/1) è l’unica ad aver apportato sostanziali modifiche all’impianto base.

Lo scarico, infatti, viene spostato alla settima settimana, per cui si fanno due cicli da tre settimane di fila, con incremento del TM dopo la terza, ma soprattutto è presente un programma interamente nuovo, basato appunto sul metodo bulgaro.

Prima novità di questo programma (chiamato “Beyond 5/3/1″) è che il TM è l’85% del massimale (non più il 90%), e lo schema di lavoro è il seguente:

  • bilanciere x 10 ripetizioni
  • 10% x 3-5
  • 20% x 3-5
  • 30%x3-5
  • 40%x3-5
  • 50%x3-5
  • 60%x3-5
  • 70%x1-3
  • 80%x1-3
  • 90%x1
  • 100% x max ripetizioni tecniche

Dopo essere giunto al TM (che ricordo essere l’85% del massimale vero), l’atleta ha diverse opzioni: continuare a salire con singole, incrementando il carico del 5-10% fino ad un massimale tecnico, oppure tornare al 70% e ripartire con un nuovo ramping o farci qualche back-off (sono consigliate 3-5 serie da 3-5 ripetizioni), e molte altre presenti nel libro, e che qui non è il caso di elencare una per una.

Anche in questo caso, le serie più leggere servono da mera preparazione a quella principale, per cui sono volutamente poco impegnative.

Per lo split e la frequenza è lasciata la massima libertà all’atleta: su tre-quattro allenamenti a settimana è opportuno abbinare un esercizio per la parte alta del corpo (panca piana o lento avanti) e uno per la parte bassa (squat o stacco da terra), mentre con frequenze più elevate può bastare anche solo un esercizio al giorno. Un powerlifter che volesse allenarsi sei volte a settimana, mantenendo le sedute ragionevolmente brevi (chi si allena a casa, ad esempio, è spesso in questa situazione) potrebbe trovare interessante un lavoro del genere:

  • squat
  • panca
  • stacchi da terra
  • panca (o variante tipo panca stretta o board press)
  • squat
  • panca

Vista la novità del programma, non ho esperienze significative, ma solo “prime impressioni”, positive finora, ma forse ancora poco significative.

 

RIFLESSIONI FINALI

Si tratta di metodi abbastanza “radicali”, che pongono l’atleta di fronte ai propri limiti: ci saranno giorni in cui la stanchezza si farà sentire, per cui i carichi elevati saranno un lontano ricordo sbiadito nella memoria, e la fiducia nell’efficacia di tali programmi rischierà di vacillare, come invece ci saranno occasioni in cui i pesi voleranno letteralmente, e l’euforia potrebbe far dimenticare la necessaria prudenza nella gestione dei carichi.

Molto probabilmente non sono scelte adatte a neofiti, che potrebbero non avere la necessaria “saggezza” per decidere quando fermarsi.

Un’altra questione aperta è il tapering, ovvero la necessaria fase di transizione verso una gara o un test dei massimali: se in programmi più strutturati la diminuzione di volume e di intensità è prestabilita, e aiuta a smaltire la fatica accumulata e far realizzare la prestazione di picco, qui le cose si fanno un po’ più complicate e solo la sperimentazione personale potrà fornire linee guida attendibili.

Si tratta di metodiche adatte alla preparazione atletica? Non me la sento di escluderlo, malgrado la frequenza e le percentuali potrebbero far pensare il contrario; in fondo, se prendiamo il Wendler, si tratta di scaldarsi con tante serie leggere e farne una l’85% del massimale, che non è certo un exploit impossibile anche durante la stagione agonistica, e due sedute di squat e panca a settimana potrebbero anche bastare, per lo meno a mantenere quanto costruito nell’off season, con il vantaggio non trascurabile dell’adattamento in tempo reale alla condizione dell’atleta.

 

Note sull’autore

Fabio Prescimone, nato a Pisa nel 1975, siciliano di famiglia e cresciuto a Messina. Laureato in lingue straniere, Istruttore di I livello di fitness e bodybuilding MAF Italia (Associazione affiliata al sistema CSEN – Centro Sportivo Educativo Nazionale) e Istruttore FIPL di Powerlifting di 1° e 2° livello. Atleta del team di powerlifting “Joypowerlifting” di Pietrasanta (LU). Autore e amministratore del blog:www.fabiopersonaltrainer.it

JOINT MOBILITY FOR POWERLIFTERS, DALLA TEORIA ALLA PRATICA: E QUINDI USCIMMO A RIVEDER LE STELLE

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di Daniele Baioletti

prefazione di Ado Gruzza

Se dovessi pensare ad una sola differenza tra quella che è considerata una visione moderna dell’allenamento con i pesi ed una “antiquata”, questa starebbe proprio nella mobilità espressa dai campioni del powerlifting di nuova generazione.

Credo che un moderno e rivoluzionario approccio all’allenamento della forza non possa che passare per una coscienza/conoscenza più completa del corpo umano.

Le metodologie che AIF offre sono sempre orientate a rendere un atleta VERAMENTE forte, VERAMENTE efficiente ed in grado di sviluppare massimi gradienti di forza nel minor tempo possibile. Non abbiamo mai voluto insegnare, e mai lo faremo, trucchetti per sollevare di più.

La strada dell’Accademia Italiana della Forza è quella di proporre ciò che permette all’appassionato di divenire atleta con la A maiuscola: non possiamo più prendere in considerazione atleti che non siano in grado di “tenere la schiena” nella parte bassa di uno squat o che non sappiano gestire le spalle durante normali movimenti fisiologici. L’attenzione deve tassativamente spostarsi verso una visione totalizzante della prestazione atletica: negli atleti natural la via della progressione dei carichi passa obbligatoriamente attraverso la mobilità, la flessibilità, la simmetria e l’equilibrio posturale.

Vi emozionano i fantastici pesisti cinesi? Vi stupite di fronte agli squat verticalissimi dei “ragazzoni” norvegesi? Le prime gare internazionali a cui presi parte non potei non notare la quantità di lavoro di mobilità che questi atleti eseguissero, al contrario di quanto eravamo abituati a fare noi.

Siamo davvero di fronte alla possibilità di fare un enorme salto di qualità con la Q maiuscola: non è più il tempo di sollevare come capita, di dimenticarsi della funzionalità delle articolazioni.

L’acquisizione di una coscienza profonda dell’importanza di mobilità, flessibilità, riscaldamento aspecifico e perché no, propriocezione, hanno determinato, senza dubbio, un miglioramento netto e tangibile dei risultati in allenamento ed in pedana.

Ado Gruzza

Articolo conclusivo della “saga sulla mobilità” (qui il primo capitolo): ancora una volta scrivo da Copenaghen, dove sto seguendo uno dei corsi di Z-Health, nello specifico la S-Phase.

Durante l´ultimo incontro con Antonio Contenta presso il Club Virginactive di Roma Talenti ho eseguito i test finali sull’atleta.

Il peso corporeo è incrementato di 2 kg, dei quali 1,4 Kg di tessuto muscolare magro: un buon risultato considerando che Antonio non sta seguendo un regime alimentare controllato.

I test kinesiologici “ci hanno dato ragione”: Antonio è passato da ben 47 muscoli “off” ad appena 10, un risultato eccezionale visto il numero limitato di esercizi di mobilità svolti nei protocolli che gli ho assegnato nel corso delle trascorse settimane.

I test di flessibilità attiva sono stati, anche essi, ottimi: le spalle sono quasi al top form, oramai anche “a freddo”; la mobilità della schiena é migliorata nella flessione anteriore. Antonio ha riportato anche minori rigidità, ed ha risolto un piccolo dolore nella spalla destra dovuto ad un allenamento fatto su di una panca ergonomica con appoggio troppo stretto per lui.

Queste le sensazioni dalla sua “viva voce”:

“Nel mio ultimo incontro con Daniele abbiamo effettuato tutti i medesimi test svolti durante la nostra prima seduta, per passare poi ad un ampliamento della routine di mobilità con esercizi che ora sto trovando utili per gomiti e torace.

Al termine di questo percorso mi trovo molto soddisfatto dei miglioramenti ottenuti: rifletto spesso sul fatto che ho avuto dei buoni risultati a fronte di un impegno in termini di tempo molto limitato, non proibitivo anche in contesti non agonistici.

Non so dire se questo sia l’unico modo per “fare mobilità” ma di sicuro mi sento di sottolineare che si tratta di un metodo efficace e non invasivo: il rischio di peggiorare nel caso in cui un movimento non sia perfetto mi sembra molto remoto. Ovviamente tutto questo ha senso se affiancato ad protocollo di allenamento già di per se coerente e qualitativo, dal quale è certamente indispensabile partire.

Il risultato più netto che ho avuto è stato quello di ritrovare un assetto simmetrico alla panca piana, obbiettivo che inseguivo ormai da un anno: dopo un lavoro molto attento di correzione specifica sono convinto che l’apporto finale al miglioramento sia stato dato proprio dal contributo di Daniele attraverso un protocollo di “sblocco” articolare marcato di spalle e scapole.

Alla fine del nostro incontro ci siamo concessi circa mezz’ora in cui abbiamo lavorato a “ruoli invertiti” analizzando le “tre alzate” di Daniele: scambiarci le parti mi ha aiutato a confrontarmi con chi applica anche su se stesso le metodiche di joint mobility, le stesse alle quali mi sono sottoposto durante questo percorso didattico. In particolare allo stacco sumo, eccezion fatta per qualche dettaglio da correggere sull’altezza dell’incastro, la posizione dei piedi ed i tempi dell’alzata di Daniele sono stati molto molto buoni (un occhio “non allenato” avrebbe fatto fatica a trovare difetti), mentre a  livello di mobilità Daniele ha dimostrato una scioltezza davvero imbarazzante, in particolare nella zona lombare e dell’anca, al punto da riuscire ad assumere posture tanto “estreme” in fase di tirata da condurlo “fuori spinta”. Alla panca una buona impostazione di base ha rivelato una leggera mancanza di attivazione nel dorsale, senza ovviamente alcuna difficoltà da parte sua nella mobilità del cingolo scapolo omerale.”

A Copenaghen ancora una volta ho avuto modo di confrontarmi con colleghi e atleti di altissimo livello, tra i quali Jacob Beermann: tre volte Campione danese, Campione scandinavo Juniores, Campione europeo e scandinavo Junior di stacco da terra, Bronzo europeo di powerlifting nella categoria 74 Kg con 287,5 Kg di squat, 165 Kg di panca e 292,5 Kg si stacco da terra; attualmente membro di una squadra di powerlifting norvegese. Da lui ho avuto l’ennesima conferma:

“La mobilità articolare ha due effetti principali: incremento delle performances e prevenzione degli infortuni. È necessario essere sufficientemente flessibili per adottare la tecnica che meglio si adatti al proprio corpo; iniziando dal basso, la maggior parte dei powerlifters dovrebbero lavorare sulla dorsiflessione della caviglia, sulla flessione e rotazione interna delle anche, sul controllo del tilt pelvico, sulla parte toracica della colonna e sulla flessione della spalla”.

Nathan Baxter, powerlifter australiano tra i top nella sua categoria (Commonwealth e Australian Champion nella panca piana e nel powerlifting, e numero sei mondiale nella panca piana IPF nella categoria sopra i 120 Kg) afferma:

“Da quando ho iniziato a praticare la DJM sono stato capace di portare la mia panca piana da 300 a 330 Kg in un anno. Non solo riesco a recuperare più velocemente, ma riesco ad allenarmi più a lungo, più spesso ed in maniera più pesante. La mobilità articolare mi ha aiutato a sbloccare il mio potenziale, rimanendo allo stesso tempo in salute. Amo questa roba!”.

Prendendo in prestito le parole di Ado Gruzza dalla prefazione di questo articolo “[...] se dovessi pensare ad una sola differenza tra quella che è considerata una visione moderna dell’allenamento con i pesi ed una “antiquata”, questa starebbe proprio nella mobilità espressa dai campioni del powerlifting di nuova generazione; credo che un moderno e rivoluzionario approccio all’allenamento della forza non possa che passare per una coscienza/conoscenza più completa del corpo umano [...]”.

È esattamente così.

Domenica 06 ottobre 2013, presso il Box Reebok Crossfit Bicocca di Milano, terrò il seminario dal titolo “JOINT MOBILITY FOR POWERLIFTERS” durante il quale, oltre ad illustrare nel dettaglio il programma eseguito da Antonio Contenta nei mesi appena trascorsi, presenterò un’approfondita analisi scientifica teorica dei principi anatomico/fisiologici generali correlati alla mobilità articolare corporea, ed un protocollo completo di esercizi dedicato alla cura della joint mobility, mostrando come sia possibile integrare questi programmi nelle proprie consuete routine di allenamento.

Troverete tutti i dettagli di questo evento qui.

Nel frattempo auguro un buon allenamento a tutti!

Foto per gentile concessione dell’autore: tutti i diritti riservati

 

Note sull’autore

Daniele Baioletti

Movement Coach;
Dott. in Scienze Motorie e Sportive;
P.I.C.P. level 2;
Biosignature & P.I.M.S.T. practictionner;
R-Phase, I-Phase & T-Phase pratictionner;
Docente, Istruttore e Personal Trainer 4° livello F.I.P.E.;
Istruttore F.I.P.L.;
Operatore Fitness metabolico;
Tecnico Rianimatore certificato.

Per ulteriore info e contatti: www.danielebaioletti.com

13° COPPA ITALIA A SQUADRE DI POWERLIFTING


JOINT MOBILITY FOR POWERLIFTERS

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EVENTO ESCLUSIVO AIF

“JOINT MOBILITY FOR POWERLIFTERS”

Seminario a cura del Dott. Daniele BAIOLETTI

Domenica 06 OTTOBRE 2013

Reebok CrossFit Bicocca Milano – Via Talete n°9, Milano


Clicca sull’immagine per scaricare la locandina in alta risoluzione (versione Pdf)

QUELLO SPORCO QUINTALE

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UN APPROCCIO ALL’ALLENAMENTO DEI NEOFITI

di Alessio Ferlito

Da quando la squadra “Powerlifting Genova” ha finalmente trovato una sede ho avuto modo di riuscire a sviluppare un approccio più diretto con i ragazzi che ho l’opportunità di seguire.

In particolare, dopo aver avuto a che fare (felicemente) con un paio di nuove leve non solo al mondo della forza, ma al mondo delle palestre, ho sviluppato un metodo che penso possa permettere di ottimizzare al massimo i risultati dei neofiti nel breve periodo.

L’idea alla base è che gli allenamenti all’inizio (sottolineo nuovamente che parlo di neofiti) si fondino solamente su squat e panca piana.

La ragioni le posso schematizzare brevemente:

  1. credo che due schemi motori, su due movimenti completamente diversi, siano molto più facilmente assimilabili che tre, di cui due relativamente simili.
  2. Lo squat, a mio giudizio, ha un transfer molto più unidirezionale di quanto non sia quello stacco, è una fissa che ho in questo periodo, se ne saranno accorti coloro che hanno acquistato il libro “Il metodo distribuito” di Ado Gruzza. Magari tra un anno la reputerò una boiata.
  3. Sbagliato che sia o meno il punto 2, allenare più volte un movimento non ci piove che permetta miglioramenti più rapidi.

Questo approccio rimane fisso fino ad un obiettivo da raggiungere prima di aggiungere lo stacco: lo “sporco quintale”, come da titolo, cioè 100kg di squat. Una volta raggiunto questo obiettivo si può aggiungere lo stacco da terra. Bene o male, un soggetto che squatta 100kg ha più o meno la possibilità di staccare 130/140 in breve, il che aggiunge un eventuale punto 4) all’elenco precedente. permette di inserire lo stacco con carichi un po’ più allenanti.

Sì, un carico è allenante in proporzione alla % di peso utilizzata, ma a sbatacchiare su e giù 100kg credo siano capaci più o meno tutti entro breve, ma imparare a gestire la schiena in due movimenti credo sia molto più difficile che farlo in uno e poi farlo altrove (si ritorna al punto 1 e 2 sopra elencati).

Foto per gentile concessione dell’autore: tutti i diritti riservati.

 

CREIAMO UNA BASE

L’allenamento con i pesi genera adattamenti non solo muscolari, ma anche strutturali. Tendini, legamenti e fascia, i tessuti connettivi in generale insomma, necessitano dell’uso di sovraccarichi per rafforzarsi, ma credo che il rischio principale sia quello che il neofita si faccia prendere la mano e sopravvaluti la sua capacità di gestione dei carichi. Badate, non dico che non sia in grado di spingere certi carichi, ho detto di gestire.

Nel periodo iniziale quindi, si ha forse più che in altri periodi (forse!) un’attenzione ancora più maniacale verso il carico utilizzato, preferendo magari approcciarsi più volte ad uno stesso peso piuttosto che aumentare e andare a basarsi su compensi.

L’approccio che ho utilizzato in questo periodo è prevalentemente basato sul ramping, l’idea che è alla base del MAV, con un numero medio-alto di ripetizioni, in media 5-6, in particolare 6. Se proprio dovessi dare uno schema generale per rendere l’idea mi baserei proprio sul MAV, che conosco tutti e permette di rendere l’idea.

Se il MAV prevede:

  • Lunedì: Squat, ramping a 5 ripetizioni
  • Venerdì: Squat, ramping a 5 ripetizioni

la mia idea non ne è molto lontana. Come ricorderete il MAV prevede di effettuare un 3×3 una volta raggiunto il cedimento, io ho preso questo concetto del “carico fisso” e l’ho applicato al mercoledì, giorno per cui il programma prevederebbe lo stacco, facendo diventare il tutto:

  • Lunedì: Squat, ramping a 6 ripetizioni
  • Mercoledì: Squat, 6/8×3 con il carico raggiunto lunedì
  • Venerdì: Squat, ramping a 4-6 ripetizioni

Ovviamente non basatevi troppo sul programma, potete usarlo, ma è un’idea tanto per rendere, anche perché il volume che si esegue (per la gioia dei due a cui ripeto sempre “il volume è salute”) è molto più alto in quanto si torna più volte sui carichi durante la salita del “ramping”.

Il resto della seduta poi è dedicato a 1-2 complementari di “muscolazione” a ripetizioni alte, sia per dare comunque un po’ di lavoro di rinforzo alle cartilagini, per cui è dimostrata l’efficacia di rafforzamento di esercizi a moderata intensità, sia per fornire un po’ di sana ipertrofia che a chi ha appena iniziato non fa di certo male. Alcune volte il complementare è invece più dedicato alla cura della tecnica, ma questo decisamente meriterebbe un paio di articoli a parte.

Che dire, funziona? L’idea per ora si è rivelata vincente, dopo solo 2-3 mesi direi che per le mie due povere “cavie” è arrivato già il momento di inserire lo stacco, dai 30kg con cui erano a malapena partiti!

 

BIBLIOGRAFIA

  • Robert Roman _ Training of the Weightlifter
  • Ado Gruzza _ Il metodo distribuito
  • NSCA _ manuale di condizionamento fisico e di allenamento della forza

JOHN BROZ: UN FIGO PAZZESCO!

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a cura di Ado Gruzza

Per chi non lo conoscesse, a coach John Broz è attribuita la famosissima frase:

If your family was captured and you were told you needed to put 100 pounds onto your max squat within two months or your family would be executed, would you squat once per week? Something tells me that you’d start squatting every day. Other countries have this mindset. America does not.

– John Broz

Una traduzione veloce è questa:

“Se la tua famiglia fosse catturata e ti venisse detto che devi per forza migliorare di 50 kg il tuo massimale di squat in 2 mesi o la tua famiglia finisce al patibolo, credi che continueresti a squattare una volta a settimana? Qualcosa mi dice che inizieresti a squattare ogni giorni. Altre nazioni hanno questa impostazione mentale, l’America no.”

Ecco: questa genialata è il marchio di fabbrica di quello che è John Broz.

Una delle teorie che hanno reso Broz così noto negli States è quella semplice idea di fare Squat ogni giorno, adattando pian piano il sistema fino a che queste sedute diventino (pressoché) tutte sedute ramping, alla ricerca dell’1RM del giorno, detto anche Daily Max (massimale giornaliero). Semplice. Nulla di più.
Così semplice che, prima che Broz dicesse all’America dei pesi: “Avanti, allenati spesso e duro, non temere”, l’approccio frequente era una chimera per pazzi.

Nel mondo ibrido del fitness qualitativo, in cui l’allenamento con i sovraccarichi è ancora, spesso, relegato a mitologie da bodybuilding della “golden age” o all’ultima moda del mese, questa idea di Broz è stata uno scossone.

La forza di John Broz è indiscutibile: J.B. è un figo, un figo perché da quando ha iniziato a proporre le sue metodologie al pubblico americano, in ogni angolo di box Crossfit d’America c’è stato qualcuno che ha lavorato sul Daily Max e, per mesi, sembrava non si parlasse di altro. Come dicevo: John Broz è uno di quelli che determina le mode senza subirle.

Questa una sintesi, di suo pugno, del suo approccio allo squat fatto ogni seduta, ogni giorno della settimana:

“Questo metodo funziona quando il peso sul bilanciere sale e continua a salire finché non inizierebbe a scendere se anche solo una foglia si posasse su di esso!

Prima di tutto concentratevi sull’abituarvi al raggiungimento di carichi massimali ad ogni seduta.

Dopo poco (poche settimane) aggiungete 3 serie da 2 ripetizioni con qualcosa come 20 kg in meno del massimale raggiunto. Appena queste serie di back off diventano facili, aggiungetene una o due, arrivando a fare 4 o 5 serie “di ritorno”. Potreste anche fare un 3 x 3 per poi aggiungere altri 10 kg e fare altre 3 serie da due ripetizioni.

Tutto sta nel continuo incremento di volume ed intensità. Quando il lavoro diventa facile, usate più peso o producete più volume.”

Coach Broz in allenamento  - Photocredit: jensinkler.com

John è un pozzo senza fondo di esperienza e di buon senso. Ci sono pagine e pagine sul web di “Q & A” su di lui, dove potrete trovare tonnellate di informazioni di grandi idee. Rileggendole, alla ricerca di spunti per questo articolo, non ho potuto non divertirmi nel confrontarmi con i suggerimenti di un coach davvero fuori dalle righe.
Broz è uno che ne capisce! Non so come sintetizzare meglio questo concetto. Puoi non essere d’accordo con tutto quello che dice, però non puoi negare la forza delle sue intuizioni e la limpidezza del suo approccio concettuale.
Credetemi, nel mondo dei pesi, tanto più tra i nomi altisonanti, di gente che ne capisce ce n’è davvero poca.
Coach Broz è molto distante da quell’approccio asettico dello Strength Trainer accademico, non ama la pliometria, le high pulls per “sviluppare la potenza” e tende a fidarsi unicamente di quello che vede e che gli dice il buon senso.

J.B è uno di quei soggetti che consiglia a chi è dolorante di allenarsi, perché la maggior parte degli infortuni passano con l’allenamento. Estremo, paradossale, con un fondo di verità: solo i “signori che ne capiscono” sul serio, sanno quanto a volte proprio nelle idee paradossali ci sia il germe della saggezza.

Sostanzialmente Coach Broz ha proposto una metodologia molto estrema (soprattutto a livello mentale) al grande pubblico. Questo grazie ad una capacità di analisi davvero molto rara, unita ad una forza comunicativa unica.
Secondo alcuni aneddoti da lui stesso raccontati, il suo mentore, Antonio Krastev, lo costrinse a fare singole di squat per 3 ore e mezza con 190 kg, visto che quel giorno era troppo stanco per fare strappo e slancio e troppo lento con quel carico. John stesso propose a qualche tizio, in modo un po’ provocatorio e un pochino no, un range un po’ bizzarro di serie back off: dalle 2 alle 50 serie!

Broz è titolare di un centro di Olimpic Weightlifting in Nevada (questo il sito internet: www.averagebroz.com). È un atleta master, si allena letteralmente da una vita e pur considerandosi un atleta di medio livello, ha collezionato numeri davvero importanti nella sua carriera di atleta.

Ciò che caratterizza maggiormente questo carismatico Coach è l’occasione avuta  da ragazzo di vivere più o meno tre anni fianco a fianco con il mitico Antonio Krastev, peso massimo bulgaro, l’uomo che ha il non piccolo onore di aver sollevato in competizione il massimo peso della storia nello Strappo, ben 216 kg: sicuramente una delle più incredibili prove di forza dell’umanità.

Krastev era in fuga dalla Bulgaria dopo la grande “offesa” subita dalla Federazione Bulgara all’Olimpiade di Seul. In seguito all’ennesimo test positivo, la Federazione Bulgara decise di ritirare tutta la squadra, togliendo a Krastev (che in quanto peso massimo avrebbe gareggiato per ultimo) l’occasione di vincere il titolo olimpico. Titolo per il quale era il favorito.

Krastev, allievo di Ivan “il terribile” Abadjiev, è stato una delle punte di diamante della scuola Bulgara: ha vissuto tutto la sua carriera agonistica durante gli anni d’oro della scuola di Abadjiev.
Krastev ha portato a Broz (in epoche di 3 x 10 una volta a settimana) non solo la metodologia “segreta” dei sollevatori bulgari; Krastev ha condiviso con il giovane Broz questa filosofia così estrema ma paradossalmente così “naturale”, istintiva e primordiale dell’allenamento con i sovraccarichi: la scuola bulgara ideata dal mitico coach Abadjiev. Perché la scuola bulgara te la può raccontare solo chi l’ha vissuta, giorno dopo giorno, seduta dopo seduta.

Io adoro l’approccio mentale di Broz, adoro la sua forza comunicativa. Traspare dai video e dalle interviste, la sua intelligenza viva e la sua simpatia mai banale.
Grande motivatore, sa farsi seguire e creare  mode, come detto, senza mai subirle.

Ho cercato con forza di averlo in Italia, anche se John rappresenta un punto di vista molto distante (in particolare per alcuni versi) a quella che è diventata negli anni la mia filosofia di riferimento.
Ritengo però che, contrariamente a molti metodi senza struttura ed unicamente basati sulla creduloneria dei “lettori di riviste”, il metodo di Broz sia ancorato a concetti molto forti ancora tutti da analizzare e che potranno aprire, in futuro, ancora tantissime pagine tecniche, stimolare nuove idee e miscelare le conoscenze di chi si occupa del meraviglioso mondo della forza.

Coach Broz impegnato allo Squat  - Per gentile concessione di John Broz

L’approccio di questo tecnico americano è essenzialmente molto limpido:

  • ognuno può allenarsi ogni giorno. Attraverso un percorso di sviluppo della capacità di adattamento, non solo “può” allenarsi ogni giorno, ma addirittura “deve”.
  • Bisogna cercare di sviluppare le prestazioni massime in ogni seduta d’allenamento. Cercare quindi la massima tensione, ad ogni seduta.
  • Se un particolare giorno della settimana l’atleta è così dolorante dall’allenamento precedente da non riuscire più nemmeno a camminare, beh, quello è il giorno buono per fare squat con un manico di scopa. Non c’è spazio per i giorni di riposo: i giorni di riposo sono giorni in cui l’atleta peggiora.
  • L’overtraining non esiste. Semplicemente esiste essere in forma o non esserlo. Qui porta il famoso esempio del netturbino, che al primo giorno di lavoro rovescia pesanti bidoni nel camion della nettezza urbana. La sera è distrutto ed il giorno seguente non muove un muscolo.
    Ovviamente non può prendersi 3 giorni di riposo, perché perderebbe il lavoro. Semplicemente, stringendo i denti e continuando con lo stesso lavoro, andrà sempre peggio per qualche giorno, fino a che magicamente, il corpo si adatterà, facendo diventare quel tipo di fatica titanica, assolutamente normale. L’adattamento è la chiave.
  • Allenarsi con una frequenza troppo ridotta porta ad un maggior numero di infortuni e non viceversa. Se ti alleni ogni giorno, tutto il tuo corpo è affaticato. Muscoli, tendini, cartilagini, legamenti, eccetera. Quando ti alleni un giorno si e uno no, muscoli e legamenti non recuperano allo stesso ritmo: i muscoli recuperano e il tessuto connettivo no! Questa asintonia porta, come intuibile, ad una maggiore predisposizione all’infortunio. Questa ipotesi la condivido in pieno: non è assolutamente la frequenza la determinante del tasso d’infortuni!
  • Il volume è ciò che determina i progressi. La maggioranza degli atleti non arriva nemmeno vicino all’ammontare di volume ottimale. Dice Broz che non è né il programma, né la percentuale di carico il punto fondante: lo è invece, letteralmente, il workload.
  • Le fasi cicliche del corpo umano sono fatte da un imprevedibile andamento ondivago. Nessun programma può tenere questo fatto in considerazione. Per questo programmare è un concetto relativo, così come lo sono le percentuali di carico, poco amate dal coach Americano. Questo un punto su cui si potrebbero aprire discussioni epocali!
  • Sollevare spesso bilancieri pesanti, dice Coach Broz, indipendentemente dallo schema serie per ripetizioni che si andranno ad usare, fa crescere la massa magra. J.B. crede che uno dei motivi di questa risposta ipertrofica provenga dalla velocità di sollevamento e dal volume sviluppato. Ha visto grandi masse muscolari sviluppate da gente che ha fatto al massimo 3 ripetizioni per allenamento. Un “tizio” che conosco, ha scritto un capitolo di un libro su questo argomento…

Broz essenzialmente è un tecnico di pesistica olimpica, utilizzatore del metodo bulgaro: però da questo ha sviluppato una visione personale e, come dire, vissuta.
Credo sia incredibilmente interessante percepire le opinioni ed i consigli di questo tecnico rivolte al nostro mondo, quello del powerlifting, “powerbodybuilding” e della forza in generale. Mondi che Broz conosce molto bene.

Uno di quei coach davvero da non perdere, di quei personaggi che davvero rompono gli argini: e non a forza di banalità sparate a vanvera che facciano colpo sugli allocchi.

“Broz Knows” recita il suo nickname su qualche forum.

Sono d’accordo: Broz ne sa davvero!

Per maggiori informazioni clicca sull’immagine

Vi ricordiamo che il Coach John Broz sarà PER LA PRIMISSIMA VOLTA IN ITALIA in ESCLUSIVA per l’AIF domenica 09 febbraio in qualità di docente a “Building a Strength Expert” – 2° Corso Avanzato FIPL per Istruttori di Powerlifting insieme a: Mike Tushcherer, Ado Gruzza, al Dott. Fausto Caruana e al Dott. Federico Fontana.

Quota di iscrizione alla sola giornata di lezione tenuta da Coach Broz:

> € 130,00;
> Trainer FIPL (di tutti i livelli) SCONTO 15%€ 110,00.

Ricordiamo a tutti gli interessati che il pagamento dovrà essere effettuato ESCLUSIVAMENTE a mezzo Bonifico Bancario Anticipato alle seguenti Coordinate Bancarie:

CASSA PADANA BCC - Filiale Taneto Di Gattatico
cc intestato a A.S.D. ACCADEMIA ITALIANA DELLA FORZA
IBAN: IT35 B083 4066 3400 0000 0096 860

NON VERRANNO ACCETTATE iscrizioni sul posto e in contanti.

Dopo aver effettuato il versamento preghiamo gli iscritti di inviare una mail:

  • avente ad oggetto “ISCRIZIONE AL WORKSHOP DI COACH BROZ
  • contenente i proprio dati anagrafici: Nome /Cognome/Luogo e Data di nascita
  • recante in allegato copia Pdf o Jpg della ricevuta di pagamento in proprio possesso

al seguente indirizzo: iscrizioni@accademiaitalianaforza.it

Per maggiori informazioni cliccare qui

LO SQUAT, LA FORZA MASSIMALE E LA LINEA: SOPRATTUTTO LA LINEA!

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a cura di Ado Gruzza

Partiamo dalla base. Anzi: ripartiamo dalla base. Ci sono concetti che crediamo siano scontati: invece, tanto più nelle realtà poco disciplinate come i Social network (che per inciso hanno fatto un gran bene alla diffusione della cultura alta dell’allenamento), non lo sono affatto.

Possiamo usare diverse terminologie, però, in buona sostanza, l’allenamento della forza si divide in due macro categorie:
a) GENERALE – In pratica: il lavoro sulla forza massimale. Aumentare la capacità di generare contrazioni di altissimo livello.
b) SPECIALE – Quelle esercitazioni che hanno tempi e modalità (soprattutto tempi) simili al gesto di gara.

Pensiamo ad un lanciatore (o gettatore) del peso: forza generale = esercizi per arti o tronco. Forza speciale: lanci con attrezzi leggermente appesantiti o lanci di attrezzi di diversa natura.
Qualcuno inserisce in questo contesto anche lavori pliometrici, sprint speciali e tutta una serie di drills atti al miglioramento della capacità di contrazione in tempi simili a quelli di gara.

Non ho mai pensato una sola volta nella mia vita che a un atleta serva solo la forza massimale; non ho mai creduto, nemmeno per un solo secondo, che nella preparazione di atleti di qualunque sport sia sufficiente il lavoro di forza generale o massimale. Queste sono semplificazioni e chi ha letto anche solo la metà di un mio articolo, ed abbia una capacità cognitiva sufficiente a cogliere le sfumature, sa benissimo quanto io odi le semplificazioni.

La forza serve e tanto: a qualunque atleta, a qualunque soggetto. Un preparatore del rugby, mio amico, poco tempo fa mi parlò di un concetto che credo, in tutta onestà, di non aver colto a pieno e che “profuma” di intelligenza: la distinzione della forza in diverse categorie è un concetto antiquato (e qua lo seguo forte e chiaro) e non solo; anche le abilità coordinative sono una tipologia di sviluppo della forza.

Ok: concetto complesso, da rogo delle streghe in certi ambienti. Di questo vi resti che la forza è fondamentale in ogni ambito dell’essere umano in relazione allo spazio ed allo spostamento, tanto più negli sport.
Però non sfugga che l’allenamento della forza è tanto più utile quanto l’atleta ha EFFETTIVAMENTE bisogno di forza.
Ti serve più forza? Se la risposta è sì, indipendentemente dallo sport che pratichi, devi elaborare un protocollo ottimale (assolutamente aspecifico) che ti permetta di migliorare la forza, appunto, senza fare danni! Senza stressare il sistema in generale, effetto secondario tipico della metodologia classica.
Il lavoro di forza speciale è un’altra cosa.
Oggi ragazzi qualunque in salute hanno risultati che anni addietro avrebbero richiesto, come minimo, qualche bel ciclo di farmaci anabolizzanti per essere pareggiati.  Il livello medio si è alzato a dismisura: il mondo della forza è cambiato semplicemente perché è cambiato il mondo. La metodologia dell’allenamento della forza si è modificata così tanto anche perché era quella che meno di tutte, nel nostro Paese, godeva di rispetto ed attenzione. Non è difficile asserire che in Italia manchi una cultura di allenamento della forza massimale.

In una bellissima “lecture” presso un’ Università Americana, il dottor Arbeit disse: “Potete fare quello che vi pare, però senza un lavoro di forza massimale (o generale, o aspecifica) non migliorerete neppure la forza speciale”. Ecco: questo vale, ovviamente, anche per lo squat.

Partendo dal presupposto che per anni sono state utilizzate, in moltissimi ambiti, metodologie che hanno avuto dell’incredibile!

SQUAT, IL MENO COMPRESO DI TUTTI.

Io non ho ancora capito, effettivamente, come si fa lo squat. Non ho ancora trovato la linea perfetta, la chiave di lettura perfetta. La sto cercando. Ogni settimana cambio qualcosa nella maniera in cui insegno. Ogni settimana mi confronto con i miei errori, con le incalcolabili varianti che ogni soggetto porta con sé.
Non potete nemmeno immaginare quale sia il mio livello di dedizione, di attenzione, di ricerca della “giusta visione”: ci lavoro come un pazzo. Non sono “arrivato” neanche per sogno; però, come scritto nei foglietti dei Baci Perugina: “L’amore per il percorso rende la strada così magica”.
Non l’ho ancora capito però vedo che mediamente chi parla di squat non ne ha, addirittura, la più pallida idea.

Se non hai questo percorso, come fai a cogliere quella mole immane di sfumature che sono poi determinanti per capire, anche solo minimamente, l’alzata?
Senza contare che “vedere una alzata” è una dote genetica esattamente come l’essere veloci o essere alti.

Dire che non esiste una sola maniera di fare squat è un’affermazione sia vera che completamente falsa.

Da quando abbiamo cercato di codificare questa alzata, analizzandone traiettorie e possibili approcci didattici, abbiamo visto come buona parte degli appassionati si sia inevitabilmente avvicinata a questa maniera di allenare i sovraccarichi.
Semplicemente perché ha dimostrato di funzionare e presenta una logica molto aderente a quella che oggi sembra essere la realtà. Insomma: quella più vicina al meglio di ciò che oggi conosciamo. Arriverà, prima o poi, un “ragazzino” che scriverà una nuova pagina tecnica magari in grado di rivoluzionare tutto, dalla testa ai piedi. Arriverà senza dubbio: perché questa è la storia di ogni attività umana.
Se analizzate un lanciatore del disco d’élite con una tecnica scarsa ed uno con una tecnica eccelsa (ricordo a questo proposito il video postato su Facebook dall’atleta lanciatore Antonio Gardelli qualche settimana fa), quello scarso avrà discontinuità e variazioni rispetto a quello eccelso che saranno spesso visibili a velocità normali solo a tecnici esperti e traiettorie che si discostano tra loro di millimetri. Non centimetri: millimetri!

Con Paolo “Ironpaolo” Evangelista, molto più estremista (in senso buono) nella realtà di quello che può apparire dal modo in cui scrive, commentando le analisi di un preparatore, ci trovammo a riflettere su come nell’allenamento con i pesi, spesso, venga considerata un individualismo o una peculiarità tecnica una traiettoria dell’attrezzo che si discosta da un’altra di 5 o 10 cm da quella ottimale. Roba da matti!

Per anni si è fatto lo squat “come veniva comodo” o come si era insegnato per misericordia tramandata. Non sempre si è stati in grado, mentalmente, di sviluppare le proprie esperienze attraverso le nuove competenze tecniche. Piuttosto si sono trovate risposte facili che però, a mio modo di vedere, non hanno sufficiente forza per stare in piedi.

A volte, di fronte all’impossibilità di rapportarsi gli uni con gli altri o alla diversa esperienza fatta, la chiave di lettura è stata:
“Sì, Io faccio squat per migliorare il salto”
“Sì, ma io faccio squat per lo sci”
“Sì, ma io faccio squat a gambe strette per stimolare i quadricipiti”
“Sì, ma io faccio squat a gambe large per aumentare la velocità”
“Sì, ma io faccio squat per migliorare il salto del fosso”…

Ok, basta. Usiamo la testa, per una volta!

Vero, esistono tanti modi di fare squat: frontale, high bar, a gambe larghe, strette, Zercher (no, quello no, non lo considero nemmeno a pagamento!), a braccia alte, eccetera eccetera.
Però c’è solo uno squat valido: quello che ti permette di generare l linea di forza ottimale!
FINE DEL CAPITOLO. Non giustificatemi con fini astrusi uno squat che fa schifo. Se “sculate”, rimbalzate o semplicemente generate piccoli compensi per uscire dagli Sticking Point (che non tutti sono in grado di vedere), beh quello squat, che sia a gambe strette, larghe, depilate o fatte con i tacchi a spillo rubati a vostra madre, semplicemente, non è buono: non è cioè ottimale al fine di migliorare la capacità di generare alti livelli di tensione.

Perché fate squat? Per migliorare la forza, giusto? Allora perché farlo in maniera non ottimale?

DIDATTICA

Ci sono tecniche per imparare a generare ottime linee di forza per chi non ha le leve di Oleg Perepetchenov. Queste sono quelle che i nostri tecnici Federali FIPL insegnano, ognuno con la propria logica individuale. Se hai le leve di Oleg, non perdere tempo: tieni i piedi piuttosto stretti, scendi e stai più dritto che puoi. Tutto fatto.
Se non sei Oleg, facendo così non ci “cavi fuori” nulla. Poi, in realtà, lo stesso Perepetchenov, oltre alla innata struttura, ha lavorato fin da ragazzino per costruire una massa muscolare così efficiente e prorompente, e fatto stretching dalla stessa età per costruire avere un controllo motorio ottimale e una mobilità articolare quasi perfetta.

Ci sono metodologie di approccio allo squat che sono semplicemente più efficaci per apprendere il gesto e mettere nel cassetto tutte le cattive abitudini motorie sviluppate negli anni. Ecco: queste sono le modalità didattiche. Sulle quali, in Italia (lo dico senza imbarazzo e con cognizione di causa) siamo (in FIPL) ad altissimi livelli in ambito internazionale. Nessuna Federazione Internazionale di Powerlifting, tanto per dire, ha un corso Istruttori delle dimensioni numeriche di quello Italiano e che sia, almeno nell’edizione Base, aperto a tutti. La didattica è strutturata per venire incontro alle esigenze anche dei semplici appassionati, quelli non nati per fare Pesistica o Powerlifting e questo ci è stato riconosciuto anche in ambito internazionale.

Alla fine quello che conta, per me e penso per chiunque si alleni con un minimo di “grano salis”, è sempre il risultato.  Arrivateci come volete, con la didattica che più vi aggrada: però arrivateci! Se il risultato è uno pessimo, anche con 200 Kg, sempre pessimo sarà.
Ecco la Evstyukina:, passata, a mio giudizio, da una didattica sullo squat non ideale. Lo noto da alcuni particolari. Però il risultato è una linea di forza decisa e puntuale:

Come dire, ha ragione lei. Tra l’altro ci sono altri video in cui “maltratta” 200 Kg. Ragazzi: è una donna, nemmeno tanto male tra l’altro…

Avete trovato questa linea? Perfetto. Non l’avete trovata? Allora ci sono tante cose da cambiare. E, da quello che vedo introno a me ogni giorno, la seconda ipotesi è tremendamente più probabile della prima.

Inoltre l’analisi di questi concetti è molto più interessante a livello di preparazione atletica rispetto al Powerlifting agonistico puro nel quale, tutto sommato, vediamo ancora soggetti “tirare” ottimi carichi con tecniche davvero mediocri. Anche se più si va su soggetti natural e più questa percentuali cala drasticamente.

Per chiudere: la tecnica dello squat non deve dipendere da che sport fate: ma dalle leve e dal tipo di attivazione dell’atleta.

STOP!

Perché la forza deve sempre essere sviluppata in maniera aspecifica.
So che ancora buona parte del mondo della preparazione atletica usa metodologie legate al “Faccio mezzo squat perché salto così!” o a qualunque altra forma di specificità del sovraccarico, sebbene sia contro quello che recenti moderne analisi dimostrano e, a mio parere, al puro buon senso.

Il punto è che ci sono tantissimi bravi preparatori con i quali, avendo più tempo libero, pagherei (letteralmente) per aver un confronto e dai quali avrei, senza dubbio, molte cose da imparare. Molte: e lo dico con la massima convinzione. Molte cose: però non come fare squat. Lo squat lo si impara dai tecnici. Per imparare a sollevare pesi vado da Dietmar Wolf: non da un tecnico che si occupa di pallavolo, unicamente perché ha troppo poca esperienza in materia. Addirittura l’esperienza è così specifica da essere perfino legata al livello: Boris Sheyko, fantastico durante il suo seminario tecnico nella nostra palestra di Parma con i migliori atleti della nostra squadra, era quasi impacciato con i principianti e gli amatori presenti.

Allo stesso modo non ho l’ambizione di voler insegnare ad un maestro di ginnastica su come lavorare sulla mobilità e il corpo libero. Ho delle idee: però non vorrei mai imporle.

Se mi confrontassi con Carlo Buzzichelli o un velocista agonista su come correre più veloce, questo confronto non farebbe crescere nessuno degli interlocutori, semplicemente perché io avrei solo idee semplicistiche in materia. Potrei avere 175 di QI e in ogni caso sparerei delle gran corbellerie. Per capire in profondità un evento devi viverlo in profondo. Però chi “ha fatto due pesi in gioventù” ha sempre quella profonda e radicata sicurezza in se’ di poter essere un interlocutore assoluto, malgrado sia meno preparato sui pesi di quanto io lo sia sul salto con l’asta.

Uno storico casaro ultra settantenne di Parma pochi giorni fa mi disse, nella sua semplicità, una frase che mi ha colpito molto e che la dice lunghissima su cosa sia la passione e la competenza.  Mi ha detto (testuali parole): “Mi a morirò sensa saver c’me s’fa al formaj”; questa piccola perla racchiude in sé tutto il ragionamento fatto fin qui.

Ciò che ci muove verso il “cuore” della conoscenza è la passione, il desiderio profondo, radicato, quasi violento, direi, di capire cosa c’è dentro un evento tutto sommato normale: che sia una semplice accosciata con bilanciere sulle spalle o fare un formaggio che alla fine, si fa da mille anni.

Io non ho un atleta in palestra che esegua lo sqaut alla stessa maniera dell’altro, sebbene siano tutti powerlifter o bodybuilder: chi “squatta” a bilanciere alto, chi basso; chi guardando in alto, chi in basso; chi iperestende la schiena altrimenti è spacciato, chi può permettersi di “perderla” un po’ durante l’alzata; chi “squatta” stretto e verticale, chi largo e più orizzontale. Tutti diversi però, bene o male, tutti comunque “in spinta”, perché è l’unica cosa che mi interessa.

Mettete in vostri atleti “in spinta” e vi dirò che fate uno squat fantastico. Non fatelo e, alla meglio, non dirò niente per non essere scortese.

Nota non necessaria: i più fini avranno notato come chi lavora nel Powerlifting attrezzato tendenzialmente svilupperà linee migliori; il discorso è lungo e complesso però vale la pena sottolineare che l’attrezzatura di supporto non ti solleva il bilanciere, ma al massimo ti struttura una linea di spinta ottimale. In questo video il concetto è ben evidente:

Costringendoti a linee ottimali, inevitabilmente te le insegna.

Di segurio una lista, estrapolata da Youtube, di squat molto diversi tra loro eppure tutti molto efficaci.

Ilya Ilin:

Al minuto 1.10 un atleta cinese, categoria 56 Kg:

Lu Xiaojun con una fantastica linea di spinta:

Altri due atleti di élite della scuola cinese:

Aita:

Re Konovalov:

Perepetchenov, recordman nello slancio:

Salimi:

Overhead squat:

Dabaya, un front squat classico:

Come avrete notato gli alteti cinesi, maniaci della tecnica, “squattano” sempre di più in maniera simile a come da anni cerco di proporre: indipendentemente dall’altezza del bilanciere, massimo controllo in basso e tenuta totale. Niente ATTG (Ass To The Grass, “sedere a terra” in gergo) o visioni particolaristiche. Così come il frontale di Ilyn.

Alla fine, sebbene sia un incorreggibile chiacchierone alle cene in compagnia, per me contano i risultati.
Il lavoro qualitativo ha elevato all’ennesima potenza, a livello nazionale, i risultati di persone originariamente non predisposte allo strength training, portando alcune di queste a livelli “top” elevatissimi. Numeri alla mano.

Per maggiori informazioni clicca sull’immagine

Vi ricordiamo che Ado Gruzza sarà tra i docenti di “Building a Strength Expert” - 2° Corso Avanzato FIPL per Istruttori di Powerlifting insieme al Dott. Federico Fontana, al Dott. Fausto Caruana e, direttamente dagli USA, due ospiti di eccezione: per la prima volta in Italia con AIF il coach JOHN BROZ, il “mitico” allenatore Americano che ha formato le sue conoscenze al fianco di Antonio Krastev e con la scuola di Ivan AbadjievMIKE TUSHCHERER, che presenterà in ESCLUSIVA italiana il suo innovativo approccio didattico, il Reactive Training Systems (RTS).

Per maggiori informazioni cliccare qui

INSIDE BODYBUILDING: LA SOTTILE LINEA RETTA – PARTE 1

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a cura di Amerigo Brunetti

Foto archivio FIPL: ©2014 FIPL – Federazione Italiana Powerlifting

Che la panca piana sia il miglior costruttore della parte alta del corpo – a patto che sia eseguita a regola d’arte – è un dato di fatto per ogni preparatore top-level.

E chiunque reputerebbe banale osservare come i grandi performer dello squat godano di uno sviluppo del quadricipite davvero invidiabile, nettamente superiore se paragonati a chi si dedica assiduamente a esercizi di isolamento.
È infatti impossibile incontrare un culturista che abbia avuto decisi incrementi muscolari solo con cavi, cavetti e macchine.

Ma perché la panca piana e non una chest press? Le croci…? Perché accosciarsi con un bilanciere sulle spalle piuttosto che eseguire unicamente contrazioni alla leg extension quando vogliamo aggiungere centimetri al giro-coscia? In entrambi i casi il muscolo lo lavoro, ma i risultati non sono minimamente comparabili.
Non c’è grande schiena che non abbia visto rematori pesanti, né grande stacchista carente di lombari.

La netta superiorità dei grandi multiarticolari è dovuta unicamente al fatto che attivano stabilizzatori e reclutano un numero maggiore di distretti muscolari, oppure c’è dell’altro?
Se l’ipotesi del picco ormonale in seguito all’allenamento è stata smentita in via definitiva, il comprendere appieno la VERA motivazione per cui questi grandi esercizi siano così efficaci nell’incremento di massa ci dà chiare indicazioni sul comportamento da tenere in palestra.

SQUAT, PANCA E STACCO
Sono i tre movimenti – a eccezione delle complicatissime alzate olimpiche – in assoluto più studiati, parametrati e maniacalmente osservati, gesti ripetuti milioni di volte da tantissimi atleti sparsi in tutto il mondo con l’obbiettivo di essere il più efficienti possibile, di sollevare il carico più grosso.

Utilizzati per incrementare le prestazioni, la forza massimale, il tessuto muscolare. Le logiche derivate dalle conoscenze quasi centenarie della pesistica hanno permesso negli ultimi anni di CODIFICARE queste alzate. E’ stato possibile determinare un’esecuzione ideale: oggi, 2014, posso dire quando il movimento è corretto, quando è massimamente efficiente e quando no. In base a dati oggettivi.

Abbiamo un vantaggio assoluto verso chi ha trattato il mondo dei pesi negli ultimi 30 anni. Lasciare questi indizi per strada sarebbe da stolti.

Prendiamo i tratti comuni. Analizziamo.
Quali i fattori che ci mostrano la correttezza dell’alzata? Cosa rende migliore una ripetizione rispetto a un’altra se il carico mosso nel tragitto A-B è lo stesso?

TRAIETTORIA E VETTORI

“Devi essere in spinta” - A.G.

Un mantra ormai dilagante, la chiave per un’alzata massimamente produttiva.
Sono “in spinta” quando ogni muscolo chiamato in causa ha due possibilità: contribuisce direttamente al movimento o è stabilizzatore. Non esistono distretti muscolari che si oppongono come parassiti al movimento del bilanciere.
Sono “in spinta” quando le forze del mio corpo convogliano in un vettore unico, fisso dall’inizio alla fine.
Ogni rotazione e spostamento dei miei segmenti corporei genera movimento effettivo del bilanciere o serve a tenere una postura ottimale.
Sono “in spinta” quando tutto quello che faccio da quando stacco il bilanciere ha come unico obbiettivo quello di generare forza secondo una LINEA RETTA.

Lo stacco classico è indiscutibilmente l’esercizio più tassante a livello nervoso: la perdita della curva lombare (che accade inevitabilmente sopra certi carichi) destabilizza il corpo, che è chiamato a spingere in direzioni sempre diverse durante il movimento. Un gran casino! I pochi che lo eseguono produttivamente sono coloro che mantengono fissa la curva, dando la possibilità al corpo di imprimere forza secondo UNA SOLA direzione.
Stessa cosa se prendiamo in esame lo Squat. L’errore più comune è sempre lo stesso: schiena poco stabile, vertebre che perdono l’assetto fisiologico, corpo che non sa più in che direzione spingere e gambe completamente disattivate.
Quindi, regola n°1: definire una linea di spinta e mantenerla coerente da inzio a fine ripetizione.

IL CORPO UMANO NON È IN GRADO DI GENERARE ALTE TENSIONI SE IL VETTORE FORZA RISULTANTE CAMBIA DIREZIONE DURANTE IL MOVIMENTO.
LA REGOLA ASSOLUTA PER UN EFFICACE STIMOLO MECCANICO RISULTA QUINDI ESSERE UNA TRAIETTORIA RETTILINEA, QUALSIASI SIA L’ESERCIZIO CHE STIAMO SVOLGENDO.

Questo è un concetto che prescinde dal contesto in cui è nato e vale in OGNI ambito della palestra, da chi fa preparazione atletica nel rugby al natural bodybuilder.
È ciò che ha reso fino ad oggi le tre alzate fondamentali così efficaci nello sviluppare massa magra: rispetto del corpo nel suo fisiologico funzionamento!

RETTA VS CURVA
Un corretto stimolo meccanico passa unicamente da una traiettoria rettilinea anche per un discorso di velocità: se compio un arco di cerchio, di certo non posso avere una velocità ottimale e costante a causa di una variazione continua di percezione del peso sulla mano e perdita di equilibrio del bilanciere. Inoltre – fondamentale! – l’inerzia del peso deve essere continuamente vinta, essendo il carico accelerato in direzioni sempre differenti.

Tracciando un arco di cerchio non permetto un movimento razionale del bilanciere. Il corpo è adatto a svolgere lavori che richiedono grande impegno, sforzi pesanti, ma solo a patto che non cambi il piano di lavoro durante il movimento. Ogni modifica della direzione verso cui spingo è fortemente destabilizzante per il sistema.

Quando ci raccontano che il migliore esercizio per i bicipiti è il classico curl bilanciere in piedi, piuttosto che l’alternato manubri seduto su panca, ci stanno raccontando una favola.
Cambiamento di velocità e attivazione possono essere riscontrate se lo eseguiamo nel modo tradizionale: l’esercizio stesso non consente di mantenere velocità costanti, a patto di non usare pesi ridicolmente bassi. La direzione di spinta varia cm dopo cm.
Il curl è un movimento intrinsecamente fuori spinta.
L’evoluzione dell’uomo non ha mai contemplato un ripetersi sistematico e ritmico di gesti circolari ad alta intensità: il corpo non è efficiente a livello neuro-muscolare nel portarli a termine.
Il discorso non riguarda però il solo curl, ma tutti gli esercizi.

INTEGRARE ANZICHÉ ISOLARE
Non è il nuovo slogan di un movimento di ultrasinistra: se dobbiamo attenerci a una traiettoria rettilinea, è fondamentale uscire dall’ottica “isolo il tricipite”, perché altrimenti a muovere l’attrezzo non sarà l’idea di spingere in una sola direzione, ma la contrazione selettiva di un particolare distretto. Il corpo non funziona così!
I neuro scienziati convengono infatti su come il cervello non ragioni per muscoli ma per azioni, gesti; il vero trucco – la vera difficoltà – non è tagliare fuori i muscoli agonisti per “sentire più lavoro sul pettorale”, ma trovare esercizi e direzioni di spinta che pongano l’enfasi sul distretto bersaglio. Reclutare all’unisono, quindi.

Le carenze di sviluppo muscolare hanno SEMPRE, SEMPRE, SEMPRE alle spalle una problematica motoria.
Cosa allena il muscolo se non un movimento? La fata turchina?
Se avete un gruppo meno sviluppato, con tutta probabilità è perché non siete in grado di creare tensione internamente e ai suoi capi. Forse lo state isolando troppo. Fate una prova: siete capaci di percepire un intenso lavoro muscolare anche a basse ripetizioni negli esercizi che riguardano il vostro gruppo carente? (Conosco già la risposta…) Avete ora le carte per capire la direzione verso cui andare!

Se l’isolamento è essenziale nell’ESTETICA del bodybuilder, non si può dire lo stesso se vogliamo ottenere uno stimolo meccanico adeguato e una crescita di reale massa muscolare.
Quando ci si sposta sul metabolico, sulle alte ripetizioni e sull’accumulo di lattato, si ha carta bianca con i monoarticolari e con traiettorie che si discostano da quella ottimale.
A nessuno ha mai nuociuto un curl con completa flessione ed estensione del braccio, le croci manubri piuttosto che uno stripping alla leg extiension, a patto che il carico sia esiguo e l’obbiettivo dell’esercizio sia puramente di rifinitura estetica.

IL CHEATING NON È CHEATING
Avete mai notato come molti PRO bodybuilders siano così inclini al cheating?

La traduzione letterale vuole che questo termine equivalga a “barare”, ingannare. Tuttavia è un comportamento più che sensato, se ben fatto. Mentre è stupido imbrogliare sé stessi e il proprio ego con carichi ingestibili, farlo con la gravità e alcune percezioni corporee può essere una carta vincente.
Istintivo comportamento atto a migliorare l’attivazione muscolare, uno strumento di assoluto vantaggio per chi pratica la cultura fisica, il cheating permette di ottenere sensazioni simili a quelle date da una traiettoria retta anche compiendo movimenti parzialmente curvilinei. Se ben fatto, consente di concentrarsi nella spinta in UNA SOLA DIREZIONE; UN SOLO MOVIMENTO.
Raccogliete un masso da terra e cercate di sistemarlo a un’altezza pari al collo.
Movimento di curl o utilizzo di uno slancio che coinvolge più distretti?
Lo stress meccanico non può prescindere da queste osservazioni.

Pensiamo anche a questo. Il leg drive (spinta con le gambe) durante un push press o un jerk vi consente di attivarvi in un’unica direzione: quella verticale rispetto al pavimento, cosa non possibile nel caso di un lento avanti in piedi.
Anche questo è cheating!

RIPETIZIONI PARZIALI
Altro stratagemma per assicurare una spinta verso un’unica direzione.
Accorcio il movimento: riesco a rimanere in tensione e spinta costanti anche in esercizi la cui esecuzione canonica non mi permetterebbe una totale efficacia di stimolo sul muscolo.
Spesso si vede allenare le spalle con movimenti parziali sopra la testa: difficile trovare un bodybuilder che esegue il lento avanti in full R.O.M. Molto più probabile vedergli compiere pochi cm di spostamento. Ecco, in quei pochi gradi di movimento – fateci caso – la traiettoria tende a essere una linea retta!

Le regole essenziali per un massimo stimolo meccanico e una crescita concreta sul lungo periodo risultano quindi essere:

  • la coerenza verso UN’UNICA DIREZIONE DI SPINTA;
  • il mantenimento di una traiettoria RETTILINEA;
  • l’allontanarsi da gesti di isolamento e ricerca di movimenti più congeniali all’uomo, la cui esecuzione preveda la completa attivazione neuromuscolare.

Ok, ma… quindi per creare uno stress meccanico al bicipite quali sono gli esercizi più indicati? Quali strategie posso utilizzare per ottenere una traiettoria rettilinea nel push down al cavo?
Nella seconda parte dell’articolo avremo modo di analizzare attentamente i vari movimenti.
Intanto guardatevi allo specchio: durante la lat machine la sbarra cambia direzione? Durante il pulley ho dei su-e-giù non previsti?


Immagine di sfondo © 2013 Luca Anzalone Photography: www.anzaloneluca.it

Per maggiori info clicca sulla locandina


Vi ricordiamo che domenica 13 Aprile 2014 a NAPOLI,  presso l’AVION FITNESS CENTER, Viale delle Mimose, 14 e domenica 04 Maggio 2014 a MILANO, presso il Box REEBOK CROSSFIT BICOCCA – Via Talete, 9 Amerigo Brunetti e il Dott. Francesco Pelizza saranno i relatori del seminario “IPERTROFIA 2.0 – Analisi scientifiche ed evoluzioni pratiche dei processi ipertrofici nella moderna visione del Natural Bodybuilding” insieme ad Alfredo TESSITORE (per la data di Napoli) e Gabriele SAVANT e Davide GIANNICO (per la data di Milano) per parlare di Metodologia, Pianificazione e Periodizzazione dell’Allenamento finalizzato all’ipertrofia muscolare nel Natural Bodybuilding.

Troverete tutti i dettagli qui.

 

Note sull’autore

Amerigo Brunetti - Campione Nord Italia e Vicecampione Italiano 2010 Musclemania. Attualmente studente in Ingegneria Meccanica e Preparatore di Natural Bodybuilding.

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